Arriva una normativa europea comune sul copyright?

È deputata europea del partito pirata (Piraten party) Julia Reda, eppure i suoi modi e le sue proposte non sono quelli rudi di chi abborda, depreda ed affonda le altre navi.

È deputata europea del partito pirata (Piraten party) Julia Reda, eppure i suoi modi e le sue proposte non sono quelli rudi di chi abborda, depreda ed affonda le altre navi. La Reda, tedesca, unica eletta tra i giovani pirati al Parlamento Europeo, è stata incaricata di studiare come apportare modifiche all’attuale normativa a tutela del copyright.

La proposta avanzata dalla giovane politica non è insensata. Tutt’altro. La Reda parte da una semplice constatazione: non è ammissibile e sostenibile, in Europa, avere ben 28 normative differenti in materia di tutela del diritto d’autore. E le vecchie regole, messe a punto “nella preistoria”, quando ancora non esistevano i social network ed i siti per la condivisione di contenuti ed informazioni (si pensi ad esempio a YouTube) rappresentano ormai un freno alla diffusione della cultura e della conoscenza.

Reda, 29 anni, con alle spalle tredici anni di impegno politico, prima nel partito socialdemocratico tedesco (SPD) e poi nel partito pirata, spiega che molti dei nostri gesti quotidiani quali – ad esempio – la condivisione sui social delle foto di edifici pubblici e la pubblicazione di un fotogramma di un film sono considerati illegali in molti Paesi. Ci sono oggettive difficoltà nella gestione delle opere da parte delle biblioteche e gli ebook vengono trattati in maniera differente, dalla legge, rispetto alle opere in formato cartaceo.

Il rapporto della Reda, consultabile a questo indirizzo in formato PDF ha innanzi tutto come primario obiettivo quello di uniformare ed armonizzare le tante leggi a tutela del copyright attualmente vigente negli Stati membri dell’Unione Europea.

Oltre alla fine della frammentazione delle leggi sul diritto d’autore, quindi, si vuol uniformare la trattazione del tema copyright svincolandola dalle tecnologie utilizzate; si propongono delle deroghe per gli utilizzi delle opere per fini didattici e di ricerca oppure per la creazione di opere derivate; si promuove una revisione delle norme che regolano gli importi che i consumatori automaticamente conferiscono per la copia privata, ogniqualvolta acquistano un prodotto tecnologico dotato di funzionalità per la memorizzazione dei dati (Equo compenso, ecco i rincari che valgono solo per l’Italia).

Gli over the top paghino le tasse. Altolà al regolamento AGCOM sul diritto d’autore

Nel corso di un’intervista, la Reda ha poi spiegato di essere fermamente contraria a tutti i tentativi – rivelatisi poi fallimentari – che mirino a far pagare ai motori di ricerca una sorta di tassa per il solo fatto di riprendere e ripubblicare stralci di contenuti editoriali protetti dal diritto d’autore. Spagna e Germania ci hanno provato, con riferimento soprattutto a Google News, ma i risultati sono stati pessimi e controproducenti; penalizzanti, tra l’altro, per quelle realtà editoriali che si sarebbe voluto aiutare (Google News chiude i battenti in Spagna: ecco perché; Editori spagnoli non vogliono la chiusura di Google News; Google fa pace con Springer: editori tedeschi capitolano).

Stop quindi a tutte quelle normative che di fatto limitano la libera circolazione delle informazioni online, sì invece ad una regolamentazione su scala europea che obblighi i giganti del Web a pagare le tasse nei vari Paesi, in maniera proporzionale agli introiti. Non serve una “Google tax” imposta singolarmente da un Paese; serve un’azione ben orchestrata a livello europeo che vieti l’utilizzo di scappatoie fiscali.

Quanto all’AGCOM italiana ed al suo regolamento in materia di diritto d’autore, attorno al quale si sono levate molte critiche (Regolamento AGCOM sul diritto d’autore: i commenti), la Reda spiega di avere in mente di presentare un emendamento che proibisca l’adozione di normative specifiche da parte di enti ed autorità amministrative.
Secondo la Reda, non è ammissibile che uno Stato dia il via libera per imporre blocchi e mettere paletti ai provider Internet senza la supervisione dell’autorità giudiziaria.

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