La Cassazione si esprime sulla sequestrabilità dei siti web

Nel dispositivo della sentenza 49437, depositata ieri e relativa all'udienza dello scorso 29 settembre, la Corte di Cassazione ha sancito la "sequestrabilità" di quei siti Internet, anche stranieri, che offrano strumenti atti a facilitare la d...

Nel dispositivo della sentenza 49437, depositata ieri e relativa all’udienza dello scorso 29 settembre, la Corte di Cassazione ha sancito la “sequestrabilità” di quei siti Internet, anche stranieri, che offrano strumenti atti a facilitare la diffusione di opere protette da copyright senza averne diritto.

L’autorità giudiziaria, come spiega la Cassazione, ha poi potere inibitorio di ordinare ai provider Internet la preclusione “dell’accesso alla rete informatica Internet al solo fine di impedire la prosecuzione” della violazione del diritto d’autore. Ciò significa che “il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita di diffusione nella rete Internet di opere coperte da diritto d’autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione Internet escludano l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali opere”.

La Cassazione accoglie così il ricorso presentato da parte della Procura di Bergamo in merito al caso “The Pirate Bay” (TPB) rinviando la questione al Tribunale che dovrà esprimersi tenendo conto della sentenza appena resa nota pubblicamente.

Il possibile acquisto, da parte di una società svedese (Global Gaming Factory X) degli asset di TPB è ormai sfumata: l’idea era quella di trovare eventuali formule di compensazione per i titolari dei diritti sul materiale distribuito senza interrompere le attività della “Baia”. La manovra, invece, è fallita in forza di problemi finanziari nei quali è incorsa la società che avrebbe dovuto farsi promotrice dall’acquisizione. I fondatori di TPB – Frederik Neij, Peter Sunde e Gottfrid Svartholmmen, insieme con Carl Lundström (quest’ultimo il principale finanziatore del progetto) – sono stati già ritenuti, in Svezia, ritenuti colpevoli di violazione di copyright ad aprile scorso. Il giudice del tribunale di Stoccolma condannò i quattro ad un anno di carcere a testa oltre al pagamento di 30 milioni di corone pari all’incirca a 2,7 milioni di euro di risarcimento danni. Il processo di appello, diversamente da quanto inizialmente programmato, è stato rinviato al prossimo anno.
Ad ottobre scorso era arrivata una nuova bordata dall’Olanda: la corte del tribunale di Amsterdam ordinò agli amministratori di TPB di eliminare tutti i “link” facenti riferimento a materiale soggetto a copyright.

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