Vietato linkare i motori di ricerca per il calcio in streaming

È vietato linkare o comunque fornire indicazioni sui siti web che permettono di visionare in streaming, attraverso la rete Internet, contenuti multimediali distribuiti in Italia dai canali televisivi a pagamento.

È vietato linkare o comunque fornire indicazioni sui siti web che permettono di visionare in streaming, attraverso la rete Internet, contenuti multimediali distribuiti in Italia dai canali televisivi a pagamento. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma nel mese di luglio e solamente oggi si conoscono le motivazioni della decisione.
Il giudice Paolo Catallozzi ha infatti stabilito che non è ammesso “fornire, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo, espresse indicazioni sulla denominazione e la raggiungibilità dei portali telematici che, direttamente o indirettamente, consentono di accedere illegalmente ai prodotti audiovisivi delle Reti Televisive Italiane S.p.A. aventi per oggetto gli eventi calcistici disputati nell’ambito del “Campionato”, della “Champions League” e della “Europa League”“.

L’ordinanza chiude una vertenza che vedeva protagonisti RTI, società del Gruppo Mediaset, la Lega Nazionale Professionisti Serie A ed il giornale online “Il post“.
Tutto era iniziato nel 2010, in occasione dei mondiali di calcio FIFA organizzato in Sudafrica. Il magazine diretto da Luca Sofri aveva pubblicato un articolo col quale si presentavano i principali strumenti per vedere gratuitamente le partite del campionato mondiale in streaming.
Nell’articolo si presentarono i canali di molte TV straniere che, in possesso dei diritti per la trasmissione dei vari eventi, distribuivano il segnale audio e video anche in Rete. “Non è escluso che siano illegali anche parecchi tra le migliaia di streaming di canali stranieri che sono disponibili online: ognuno decida come regolarsi e cosa fare della propria connessione Internet“, si leggeva.
Il giornale replicò l’iniziativa anche in tempi successivi, in occasione di partite importanti o di manifestazioni di grande interesse, come gli europei di calcio del 2012.

Il post non linkò mai direttamente siti web che distribuivano illecitamente i segnali audio/video degli incontri di calcio senza autorizzazione alcuna e senza detenere alcun diritto. Furono invece segnalati ai lettori quei particolari motori di ricerca che consentono di individuare contenuti multimediali d’interesse.

Dopo alcune diffide ricevute da RTI e Lega Calcio, Il post modificò i suoi articoli eliminando i riferimenti ai motori di ricerca invisi ai detentori dei diritti sulle partite ma proseguì ad inserire dei riferimenti ad un vecchio articolo che forniva indicazioni sull’esistenza di tali strumenti. Il giudice riconobbe che tale articolo era “lecito, corretto, informativo e costituisce diritto di cronaca, perché informa sul fenomeno dei siti che trasmettono le partite illecitamente. Ma poiché la sua lettura avrebbe l’effetto (anzi: “non può ragionevolmente escludersi” che lo abbia, “sia pure in via mediata”) di informare i lettori sulla raggiungibilità di siti che trasmettono le partite illecitamente, si deve quindi evitare il più possibile che venga letto. Può esistere ma non deve essere esibito“, scrive “Il post“.

Nell’ordinanza del tribunale romano, che ha quindi disposto l’eliminazione di qualsiasi link ai motori di ricerca precedentemente citati, è stata fissata una penale non inferiore a 10.000 euro per ogni violazione o inosservanza del provvedimento, nonché Euro 5.000 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. È stata poi disposta la pubblicazione della decisione, a cura e spese del direttore de “Il post” – Luca Sofri -, sulla home page del portale e su alcuni quotidiani nazionali.

Per Guido Scorza, uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione, si tratta di “una decisione grave e senza precedenti. Un Giudice ordina ad un giornale di astenersi dal fare informazione in relazione a determinati contenuti per evitare che una notizia si diffonda e che diffondendosi aumenti la platea degli autori di un determinato illecito“. È come se, osserva Scorza, “in altri tempi, si fosse vietato ad un giornale di raccontare delle sigarette di contrabbando vendute a ridosso dei grandi porti e stazioni ferroviarie di tutto il Paese o si inibisse ad un telegiornale di raccontare e mostrare le scene delle prostitute ferme sul ciglio delle più importanti strade consolari della capitale per evitare un’impennata del numero dei clienti. Fare informazione così come pubblicare un link non significa promuovere una condotta o – nel caso la condotta in questione sia illecita – istigare lettori, telespettatori o utenti a violare le leggi o gli altrui diritti“.

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