La diffamazione non giustifica il sequestro di un sito

Nelle scorse settimane fu grande il polverone sollevatosi in seguito al sequestro di Vajont.

Nelle scorse settimane fu grande il polverone sollevatosi in seguito al sequestro di Vajont.info, un sito web che offriva informazioni sul disastro che interessò, il 9 ottobre 1963, l’omonima diga e le cittadine del fondovalle veneto. In seguito alla pubblicazione di una frase, ritenuta diffamatoria, nei confronti degli On. Paniz e Scilipoti, fu ordinato il blocco dell’accesso al sito web mediante l’intervento su tutti i server DNS dei provider Internet italiani. In altre parole, tutte le richieste di risoluzione del nome a dominio Vajont.info furono automaticamente realizzate verso l’IP di loopback 127.0.0.1 (ved., a tal proposito, anche questo articolo).

Pur confermando la condanna del titolare del sito Vajont.info al versamento di 900 euro di sanzione e di 10.000 euro per la diffamazione nei confronti dell’On. Paniz, l’avvocato Fulvio Sarzana di S. Ippolito spiega la decisione presa dal Tribunale di Belluno che ha deciso per l’immediato dissequestro del sito web. Secondo quanto emerso, infatti, il blocco degli accessi per gli utenti italiani adottato attraverso il sequestro degli IP e l’alterazione dei record DNS a carico dei provider, “in caso di presunta diffamazione, deve ritenersi eccessivo rispetto al bene giuridico da tutelare“, osserva Sarzana che cita la conclusione dei giudici: “il sequestro di un sito web deve cadere solo su una o più frasi offensive e solo nel caso in cui le frasi non siano state nel frattempo cancellate“. Il legale osserva che l’amministratore del sito web sulla tragedia del Vajont aveva già provveduto alla rimozione delle frasi definite “ironiche” comunicando il suo intervento, a mezzo fax, agli agenti della polizia postale.

Sarzana si sofferma su due principi fissati dal Tribunale bellunese: “il GIP avrebbe dovuto disporre il sequestro solo della presunta frase diffamatoria e non dell’intero sito perché diversamente argomentando si porrebbero delle gravi questioni relative alla tutela della libertà del pensiero, di libertà di espressione e di stampa in quanto valori costituzionali protetti dall’art 21 della Costituzione“. E continua: “il provvedimento di inibizione DNS e IP oggetto dell’ordine di esecuzione firmato dal pubblico ministero è eccessivo rispetto al fine da tutelare, ovvero l’onorabilità di qualsiasi individuo“.

Assoprovider, che aveva presentato ricorso alla decisione di sequestro, si è detta soddisfatta osservando che “un corretto rapporto di collaborazione degli addetti ai lavori con gli organismi preposti per legge a decidere su sequestri di siti web, permette di arrivare a provvedimenti che non danneggino soggetti che nulla hanno a che fare con i fatti oggetto delle indagini“. La situazione ingeneratasi fu infatti stigmatizzata da Assoprovider, associazione dei provider indipendenti. Da più parti, infatti, si fece notare come il blocco effettuatto a livello del singolo indirizzo IP bloccò di fatto decine di altri siti web (secondo le stime di Sarzana oltre 200) che nulla avevano a che fare con alcun tipo di reato. L’evento si verificò semplicemente perché l’indirizzo IP usato da Vajont.info era condiviso da molti altri siti web gestiti da soggetti completamente diversi.

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