Red Hat: la crescita e gli obiettivi del "Linux europeo"

Werner Knoblich (nella foto a lato) è a capo delle operazioni europee di Red Hat.

Werner Knoblich (nella foto a lato) è a capo delle operazioni europee di Red Hat. Una regione che vale poco meno del 30% dei ricavi totali della società e che occupa circa un migliaio di persone (“non eravamo neanche 100 fino a 8 anni fa“, spiega il manager).

Come sta andando il mercato europeo? Ci sono dinamiche diverse fra i vari Paesi?
L’area Emea rappresenta circa il 27% dei ricavi totali di Red Hat (che sono 909 milioni di dollari, con un incremento del 22% rispetto all’anno precedente ndr), in moderata crecita. Non possiamo dare le suddivisioni per singolo Paese, ma chiaramente Regno Unito, Francia e Germania sono le prime 3 country. La Francia va molto bene nel’ambito bancario, mentre in Germania paghiamo la forte presenza di Suse Linux. L’Italia sta andando bene: abbiamo ottimi clienti nella pubblica amministrazione, nel traffico aereo, nell’industria alimentare. E’ importante il fatto che stiamo continuando a crescere: visto che non vendiamo licenze, ma canoni e servizi, la crescita significa che i clienti continuano a credere nel nostro modello.

Qual è l’atteggiamento delle Pmi nei confronti di Linux?
Storicamente Linux è stato visto come la naturale migrazione da Unix, migrazione che ha quindi interessato principalmente le medio-grandi organizzazioni. Le piccole in passato hanno visto Linux come un ambiente tecnico, un pò ostico. Adesso, la situazione è certamente cambiata. Sono moltissime le applicazioni che girano su Linux, la configurazione si è fatta più semplice, l’interfaccia utente decisamente più amichevole. Per far breccia nelle Pmi però è fondamentale il ruolo del canale e dei system integrator. La nostra forza vendita non può arrivare alle piccole realtà ed è per questo che stiamo investendo molto nell’ecosistema dei partner, con training e formazione.

Durante il Red Hat Summit sono stati fatti importanti annunci in ambito cloud. Il mercato è ricettivo rispetto al cloud computing?
Il cloud non è ormai uno slogan marketing, ma un approccio che le aziende stanno valutando con estremo interesse. Certo, si sta andando molto per gradi, con un modello ibrido che parte dalle applicazioni non core. Ci vorrà molto tempo prima che le applicazioni critiche vadano sul cloud.

E la questione della privacy e della sicurezza?
Ci sono problemi normativi sul trattamento dei dati che dovranno essere risolti, ma una soluzione sono certo verrà trovata. Sicuramente il business è più avanti della legislazione. Se per sicurezza intendiamo anche l’affidabilità del servizio, ritengo che per un’azienda sia oggi più sicuro usare una piattaforma Ibm, Amazon o di altri cloud provider piuttosto che gestirsela in house. Lasciamo gestire le infrastrutture a chi è bravo a farlo.

Il Ceo di Red Hat, Jim Whitehurst, ha detto che senza l’open source il cloud non esisterebbe. Cosa rende così peculiare l’open source?
Ti dà la possibilità di scegliere. Quando si inizia un percorso nuovo come quello del cloud, è molto importante il fatto di non doversi legare a un singolo fornitore o a una singola piattaforma. L’open source è in grado di rispondere a questa esigenza.

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