Diritto all'oblio: Garante richiama in causa Google

Con un recente sentenza, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha di fatto obbligato Google e gli altri motori di ricerca a rispondere alle richieste dei cittadini che non desiderano vedere il proprio nome all'interno delle SERP.

Con un recente sentenza, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha di fatto obbligato Google e gli altri motori di ricerca a rispondere alle richieste dei cittadini che non desiderano vedere il proprio nome all’interno delle SERP. L’eliminazione non deve avvenire in ogni caso ma sarà compito di Google e delle altre aziende impegnate nel mercato delle ricerche online provvedere alla rimozione ogniqualvolta il nome del cittadino dovesse essere associato ad elementi lesivi della sua immagine e del suo buon nome.

I giudici europei hanno riconosciuto l’esistenza di un diritto all’oblio: un cittadino, insomma, ha titolo per richiedere che le vicende legate al suo passato vengano dimenticate e che quindi il motore di ricerca non ne conservi memoria.

Google è stato investito poi di una grave responsabilità e di un carico di lavoro aggiuntivo: persone incaricate dall’azienda di Mountain View debbono porre al vaglio le richieste inoltrate dai cittadini europei (pervenute attraverso la compilazione di un apposito modulo) per stabilire quali meritano di essere approvate e quali debbono essere rigettate.

Il Garante Privacy italiano obbliga Google a rispondere alle richieste di alcuni cittadini

Ai cittadini europei che si vedessero respinte le richieste avanzate a Google, viene accordato il diritto di rivolgersi al Garante Privacy del proprio Paese che esaminerà la domanda inoltrata e ne verificherà la fondatezza.

È notizia di oggi che il Garante Privacy italiano ha adottato i primi provvedimenti “in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico“, si legge in una nota.

L’autorità italiana ha ratificato la decisione di Google in sette dei nove casi analizzatiritenendo che la posizione di Google fosse corretta in quanto è risultato prevalente l’aspetto dell’interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio“.

In due casi, invece, il Garante ha accolto la richiesta dei segnalanti prescrivendo a Google di eliminare le pagine indicate dai suoi indici. Nel primo caso “perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona“.

La domanda che è lecito porsi, però, è la seguente: Google viene obbligato ad eliminare forzosamente i riferimenti dalle sue SERP ma non viene menzionato alcun intervento nei confronti dei siti web che hanno pubblicato le informazioni. Perché dovrebbe essere un motore di ricerca ad eliminare delle informazioni quando queste potrebbero essere al limite rimosse dai siti che le hanno diffuse?

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