Sony la spunta in tribunale: niente class action per la PS3

Si chiude oggi una vertenza legale che vedeva protagonista Sony, accusata di aver ingiustamente eliminato la possibilità di installare sistemi operativi "alternativi", ad esempio Linux, dalle proprie PlayStation 3.

Si chiude oggi una vertenza legale che vedeva protagonista Sony, accusata di aver ingiustamente eliminato la possibilità di installare sistemi operativi “alternativi”, ad esempio Linux, dalle proprie PlayStation 3. La decisione di rimuovere la funzionalità “Other OS” (“Installa un altro sistema operativo“) dalla PS3 era stata presa ad aprile 2010 ed, a distanza di pochi giorni, negli Stati Uniti venne promossa una “class action” contro Sony.

I giudici americani, pur riconoscendo che la rimozione della funzionalità “Other OS” sia stata fonte di frustrazione e dispiacere per alcuni utenti, possessori della console di gioco PS3, hanno rilevato che l’accusa non avrebbe offerto spunti basati su fatti reali né articolato una teoria secondo la quale Sony avrebbe dovuto essere ritenuta responsabile.

La multinazionale giapponese, invece, è riuscita a far valere la sua tesi ossia che Sony aveva ed ha il diritto di aggiornare e modificare il firmware installato sulla PlayStation secondo le proprie necessità.

Il giudice, chiamato ad esprimersi sulla vertenza, ha quindi bocciato la “class action” per “insufficienza di prove” non ritenendo che Sony abbia tenuto una condotta scorretta.

Nel frattempo, Sony aveva anche provveduto a modificare le clausole della licenza d’uso eliminando la possibilità, da parte dei consumatori, di ricorrere a “class action” per motivazioni strettamente correlate al software installato sulla PS3.

George Hotz, 22enne hacker, aveva a suo tempo aspramente criticato la mossa di Sony promettendo battaglia. Dopo poco tempo, Hotz rilasciò infatti un “hack” in grado di alterare il funzionamento del nuovo firmware per la PS3 tornando a consentire l’installazione di altri sistemi operativi. Sony decise di reagire citando in giudizio il ragazzo statunitense che, dopo un anno di problemi legali, ha stretto un accordo con la società nipponica promettendo di astenersi dal ripubblicare informazioni simili a quelle precedentemente diffuse.

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