Raspberry: storia di un progetto di successo a 10 anni dalla sua nascita

I single-board computer progettati e commercializzata dalla britannica Raspberry Pi Foundation sono apprezzati da tutti. La società festeggia 10 anni di attività.
Raspberry: storia di un progetto di successo a 10 anni dalla sua nascita

Si festeggiano in questi giorni i 10 anni dalla nascita del progetto Raspberry. Era infatti il 29 febbraio 2012, un anno bisestile, quando la britannica Raspberry Pi Foundation presentò il suo primo single-board computer.

Da allora più di 40 milioni di schede Raspberry Pi sono state acquistate. Soltanto nel 2020 ne sono state vendute oltre 7 milioni, un valore che corrisponde a circa il 2,5% dei PC desktop e dei notebook comprati nello stesso anno.
Dopo i Chromebook i single-board computer Raspberry sono probabilmente i computer Linux più venduti al mondo.
Dal 2012 a oggi la fondazione ha rilasciato ben 18 versioni dei suoi dispositivi ispirando milioni di maker, aprendo le porte anche a utilizzi in ambito professionale, nella didattica, ispirando tanti appassionati e tante aziende che hanno deciso di imitare il design Raspberry.

Il SoC utilizzato su Raspberry Pi è un economico ARM: nel 2019 avevamo pubblicato una dettagliata presentazione di Raspberry Pi 4. Fino al 2012 i single-board computer erano considerati come dispositivi o troppo costosi per le tasche degli utenti privati oppure troppo complessi da usare, anche per via di un supporto Linux fino ad allora inadeguato.

Con i suoi Raspberry Pi la fondazione ha colpito nel segno: chiamato colloquialmente Raspi, il prodotto è economico, sufficientemente potente, offre molte connessioni, non è complicato da usare soprattutto grazie al buon supporto Linux e alla documentazione.
Raspberry Pi Foundation ha infatti lavorato tanto sul software, sulla documentazione, sulla formazione e sul supporto tramite forum online. Nella distribuzione Linux in-house basata su Debian – prima chiamata Raspbian e oggi Raspberry Pi OS – si vedono le ottimizzazioni applicate nel corso di anni.
La compatibilità ha inoltre la massima priorità: i progetti software funzionano senza modifiche sulle diverse varianti di Raspberry Pi e il sistema operativo si adatta bene anche ad alcune applicazioni industriali.

Grazie al sistema operativo aperto e alla vasta comunità di sviluppatori, i dispositivi Raspberry si rivelano adatti anche per le applicazioni che devono essere utilizzate per molti anni. Gli utenti non devono temere un abbandono del dispositivo e l’assenza di supporto come avviene, purtroppo, per la stragrande maggioranza dei dispositivi IoT e per la smart home.

Gli sviluppatori hanno anche fissato degli standard: la connessione GPIO “a pettine” (40 pin) ha contribuito al grande successo di Raspberry. Essa permette infatti il collegamento e l’utilizzo in ambiente Linux di un ampio ventaglio di hardware: sensori, display, servomotori e motori passo-passo, interruttori, encoder, relè e strisce LED. Tant’è vero che i pin GPIO si possono trovare oggi su molti single-board computer della concorrenza basati su chip ARM, RISC-V e x86 oltre che su schede di sviluppo FPGA professionali.

Raspberry è anche un dispositivo di rete open source ideale per gestire una webcam, un firewall o un hotspot WiFi. La possibilità di alimentare la scheda usando Power-over-Ethernet (PoE) si rivela estremamente pratica in molteplici contesti.

Le varianti dei dispositivi Raspberry

La famiglia Raspberry Pi comprende quattro diversi design: quello “normale” con la scheda che ha dimensioni di una carta di credito (8,5 x 5,6 cm), la versione Zero più economica e più compatta (6,6 x 3 cm), il Compute Module (CM) per clienti industriali e il minicomputer Raspberry Pi 400 ospitato in una vera e propria versatile tastiera.

Rispetto alla versione standard, Zero non offre alcune interfacce per risparmiare spazio: i pin GPIO devono essere saldati manualmente in caso di necessità.
Il modulo CM non dispone di connessioni direttamente utilizzabili ma è inteso come un plug-in da usare in altri dispositivi, come il “cervello” di un controller industriale.

Tranne che per il caso di Raspberry Pi 400, gli altri tre design sono stati usati nelle varie generazioni del single-board computer.
Nel 2019 Raspberry Pi 4 ha introdotto l’utilizzo del più potente SoC BCM2711 con quattro core Cortex-A7 e una frequenza di clock di 1,4 GHz (1,8 GHz nel caso del BCM2711C0).

La fondazione Raspberry e la sua divisione commerciale hanno sede nella città universitaria britannica di Cambridge. Qui non c’è solo la sede di ARM, azienda che ha solleticato l’interesse di NVidia con un accordo poi sfumato per via dei paletti imposti dalle varie autorità di regolamentazione, ma anche una filiale della società statunitense Broadcom.

Eben Upton, ideatore di Raspberry, ha lavorato per Broadcom dal 2006 al 2020 come SoC Architect oltre che responsabile dello sviluppo del core grafico VideoCore.
Ecco spiegato perché tutte le schede Raspberry usano SoC Broadcom con core ARM e GPU VideoCore.

Il SoC BCM2711 non solo combina quattro core CPU con una GPU ma contiene anche controller per molte interfacce. I chip aggiuntivi per la gestione delle connessioni Ethernet, WLAN e Bluetooth provenivano originariamente da Broadcom ma la divisione wireless della società è passata di mano per due volte dal 2016. Prima è stata acquistata da Cypress e successivamente da Infineon nel 2020.

Nei suoi primi dieci anni di vita la Raspberry Pi Foundation è andata di bene in meglio: prezzi accessibili, tecnologia semplice da capire, compatibilità e software aperto sono i pilastri sui quali ha costruito il suo successo.
Grazie a una solida base finanziaria è stato possibile estendere il “raggio d’azione”, ad esempio con la presentazione del computer per studenti Raspberry 400 e del microcontrollore RP2040.

Il microcontroller RP2040 costa 75 centesimi di euro ed è il cuore del Raspberry Pi Pico. Si tratta del primo chip che la fondazione ha sviluppato in autonomia e ha fatto produrre da TSMC a 40 nm.
RP2040 non è destinato all’utilizzo con Linux come gli altri prodotti Raspberry: si muove piuttosto nell’area in cui è collocato Arduino e apre una nuova area di business con i produttori di dispositivi elettronici che possono installarlo.

Quale sarà il prossimo passo di Raspberry? Oserà la fondazione lanciarsi nella produzione di tablet e notebook andando a competere con dispositivi Android e Chromebook? In ogni caso, buon compleanno Raspberry.

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