5G: un comune italiano vieta il dispiegamento delle reti di nuova generazione

Una decisione che non potrà non fare discutere quella assunta dal primo cittadino del Comune di Scanzano Jonico (Matera): vietate sperimentazioni e installazioni da parte di qualunque soggetto.

Il clamore che è stato sollevato attorno al tema 5G ha portato un sindaco, quello del comune di Scanzano Jonico (Matera), a emanare un’ordinanza tesa a vietare il dispiegamento delle nuove reti di quinta generazione sull’intero territorio comunale.
Il primo cittadino ordina di “vietare a chiunque la sperimentazione o l’installazione del 5G sul territorio del Comune in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi annunciata dall’International Agency for Research on Cancer, applicando il principio precauzionale sancito dall’Unione Europea, prendendo in riferimento i dati scientifici più aggiornati, indipendenti da legami con l’industria e già disponibili sugli effetti delle radiofrequenze, estremamente pericolose per la salute dell’uomo“.
Il testo del provvedimento è pubblicamente consultabile facendo riferimento a questa pagina.

Nel nostro articolo 5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero? abbiamo cercato di soffermarci sulle problematiche maggiormente degne di nota, senza inutili allarmismi.

Esaminando il testo del provvedimento appare evidente come non venga fatta distinzione alcuna tra le bande di frequenza utilizzate, non si parla di potenze in gioco e non si fa alcun cenno sui valori dell’intensità del campo.
La presa di posizione appare quindi genericamente contraria al dispiegamento delle nuove reti 5G non tenendo presente che già buona parte delle frequenze che saranno utilizzate sono le stesse che vengono adottate per le tecnologie di precedente generazione.
In Italia sono infatti state assegnate agli operatori di telefonia mobile, come risultato di una gara indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico, i diritti per l’utilizzo delle frequenze su tre bande distinte: 694-790 MHz, 3600-3800 MHz e 26,5-27,5 GHz.

Basti pensare che le prime sono le stesse utilizzate per il digitale terrestre e come le frequenze più elevate siano per loro natura molto meno “penetranti”. Ben lo sanno gli operatori che si sono prevalentemente “scontrati” con una serie di rilanci sull’acquisizione delle licenze per le frequenze più basse. Per non parlare del fatto che proprio aumentando il numero di antenne (le cosiddette “piccole celle” che in futuro utilizzerà il 5G) si ridurranno le emissioni (con il 5G, peraltro, la trasmissione non avviene durante il 100% del tempo come accade nel caso del 4G…).
Anche un link che usa le onde millimetriche (quindi ben oltre i 26-27 GHz; si parla di frequenze comprese tra 30 e 300 GHz con lunghezza d’onda tra 1 e 10 millimetri: vedere 5G all’interno degli edifici: ecco la tecnologia per le connessioni indoor ultraveloci) permetterà di diminuire in maniera significativa la capacità di penetrazione nei tessuti e gli eventuali effetti si limiteranno al massimo a uno strato di cute superficiale.

Come abbiamo evidenziato nel nostro articolo 5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero?, inoltre, l’esposizione umana ai campi elettromagnetici è riconducibile in misura ridottissima alle antenne (all’atto pratico, quindi, durante la vita di tutti i giorni, negli ambienti frequentati dai cittadini in cui si vive, si lavora e ci si sposta…) ma va ricercata bensì nell’utilizzo di apparecchiature wireless nelle immediate vicinanze del corpo (i.e. utilizzo smodato di cellulari e smartphone all’orecchio).
Tutte le emissioni seguono la legge dell’inverso del quadrato (così come nel caso della luce, del suono, della gravità): più ci si allontana dalla fonte del segnale, estremamente più contenuto sarà il campo rilevato.

Il problema non è quindi il dispiegamento della rete 5G in sé ma al limite l’utilizzo smodato che può essere fatto delle apparecchiature in grado di generare campi elettromagnetici, posto comunque che si parla sempre di radiazioni non ionizzanti e che gli studi condotti nel corso di decenni sono comunque inconcludenti anche perché indagini eseguite su topi e ratti per fisiologia, valori in gioco e tempi di esposizione non possono essere minimamente paragonate alle condizioni reali e all’essere umano.
Cliccando qui si possono trovare quasi 30.000 pubblicazioni scientifiche sull’argomento a conferma che le interazioni tra le radiofrequenze e gli organismi biologici sono studiate dagli anni ’60 e nell’ultimo decennio la ricerca ha proseguito senza sosta.
Il risultato, però, è che eventuali effetti nocivi derivanti dall’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF), a livelli inferiori alle linee-guida sull’esposizione, non sono ad oggi dimostrati.

La decisione assunta in terra lucana dà quindi sostegno alle posizioni espresse da tanti comitati e associazioni “anti-5G” lungo lo Stivale.
Da parte nostra esortiamo invece a riflettere con la massima attenzione, come peraltro abbiamo già fatto più volte, sui numeri in gioco peraltro confrontandoli con l’esistente inquinamento elettromagnetico.

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