In Italia, chi acquista dispositivi dotati di memoria – smartphone, computer, hard disk, chiavette USB, tablet, lettori MP3 e perfino supporti tradizionali come CD e DVD – paga un compenso per copia privata, altrimenti noto come “equo compenso”, finalizzato a remunerare autori e industria della cultura. Anche chi non realizza copie di contenuti protetti ne è comunque soggetto, poiché la tassa è inclusa nel prezzo finale del dispositivo.
Negli ultimi anni, con il diffondersi dello streaming audio e video, questo sistema appare sempre più anacronistico: molti utenti pagano abbonamenti a servizi come Spotify o Amazon Music – per non parlare delle piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, NowTV – ma allo stesso tempo contribuiscono indirettamente a un compenso per copie private su contenuti di cui non possono effettuare copie private. Anche per via della presenza di tecnologie DRM (Digital Rights Management).
Cos’è il compenso per la copia privata o equo compenso
Il concetto di “copia privata” in Italia è disciplinato dalla Legge sul diritto d’autore (Legge 633/1941, art. 71 e seguenti) e si riferisce alla possibilità, per un individuo, di riprodurre legalmente opere protette dal diritto d’autore per uso personale e non commerciale, senza dover chiedere autorizzazione all’autore. Si parla infatti di “Compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi ai sensi dell’articolo 71-septies, comma 2, della legge 22 aprile 1941, n. 633“.
La copia privata è una riproduzione di un’opera protetta (musica, film, libri digitali, software, ecc.) effettuata esclusivamente per uso personale, quindi destinata a chi la realizza e ai propri familiari conviventi. Non è permesso diffondere, vendere o mettere a disposizione pubblicamente la copia privata.
È ammessa quando la fonte della copia è lecita: ad esempio, un da un supporto fisico o digitale acquisito legalmente. Non è evidentemente consentito copiare opere scaricate illegalmente da Internet o da altre fonti illecite. La copia privata, in quanto tale, deve rimanere privata: non può essere condivisa online o ceduta ad altri. È legittima anche la copia su dispositivi diversi per comodità di utilizzo.
La questione dell’uso delle tecnologie DRM
L’articolo 71-sexies, comma 4, prevede che le misure tecnologiche di protezione (DRM) non possano impedire l’esercizio del diritto alla copia privata da parte di chi ha legittimamente accesso all’opera:
Fatto salvo quanto disposto dal comma 3, i titolari dei diritti sono tenuti a consentire che, nonostante l’applicazione delle misure tecnologiche di cui all’articolo 102 quater, la persona fisica che abbia acquisito il possesso legittimo di esemplari dell’opera o del materiale protetto, ovvero vi abbia avuto accesso legittimo, possa effettuare una copia privata, anche solo analogica, per uso personale, a condizione che tale possibilità non sia in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e non arrechi ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti.
In passato, il Tribunale di Milano ha affrontato casi in cui consumatori italiani hanno intrapreso procedimenti legali contro produttori di contenuti per l’impossibilità di effettuare copie di backup di DVD legittimamente acquistati a causa della presenza di DRM. Questi casi evidenziano la tensione tra il diritto alla copia privata e la protezione delle opere tramite tecnologie DRM.
In linea generale, la normativa italiana riconosce il diritto alla copia privata anche per opere protette da DRM, a condizione che l’utente abbia legittimamente accesso all’opera. Tuttavia, l’effettiva possibilità di realizzare copie è di fatto limitata dalla presenza di misure tecnologiche di protezione.
Se si parla di piattaforme streaming, lì ci sono sia DRM che condizioni contrattuali che vietano espressamente la copia a valle del bypass della tecnologia di protezione.
Le nuove tariffe e l’allargamento al cloud
Una bozza di decreto del Ministero della Cultura prevede aumenti dei compensi fino al 40% per smartphone e tablet di grande capacità, con incrementi medi del 20% per CD, DVD, microSD, chiavette USB, HDD e SSD, e del 17% per memorie integrate.
Il decreto potrebbe inoltre introdurre l’applicazione del compenso per copia privata anche ai dispositivi ricondizionati (second-hand), imponendo un doppio pagamento per chi acquista prodotti già tassati alla prima immissione sul mercato.
Al momento dell’acquisto di un qualsiasi apparecchio multimediale portatile con una memoria da oltre 400 GB, si pagheranno quasi 34 euro con un aumento del 17% rispetto ai precedenti 29 euro. Quando acquistate uno smartphone con 512 GB di memoria interna, l’obolo passa a quasi 9 euro. Per hard disk o memorie da oltre 2 Terabyte di capienza l’equo compenso sale addirittura a circa 9,7 euro, dai precedenti 6,9 (+40%).
Per la prima volta, il Ministero prevede l’estensione della copia privata anche agli abbonamenti ai servizi cloud, con un massimale di 2,40 euro al mese per utente. Fino a 1 GB al mese nulla è dovuto; da 1 a 500 GB si applica 0,0003 €/mese per utente; oltre 500 GB 0,0002 €/mese per utente. Sono previste esenzioni quando le memorie cloud sono “manifestamente estranee alla realizzazione di copie per uso privato”.
Qui verrebbe da chiedersi come il legislatore intenda prescrivere e riscuotere la tassa in questione dai provider di storage che hanno sede fuori dai confini italiani.
Se non ci credete, è tutto contenuto nella bozza del nuovo schema per la determinazione del compenso per copia privata.
Critiche di ASMI e dei produttori
L’ASMI (Associazione dei Produttori di Supporti e Sistemi Multimediali) ha espresso forti perplessità:
- Le tariffe italiane sono tra le più alte d’Europa, creando distorsioni di mercato. Ad esempio, nel caso di una chiavetta USB da 256 GB si pagano in Italia 8,76 €, in Francia 4 €, in Spagna 0,24 €, in Germania 0,30 €.
- L’aumento dei compensi potrebbe favorire l’evasione e il mercato parallelo, incentivando acquisti all’estero o da operatori che non versano il compenso.
- L’applicazione della tariffa ai dispositivi ricondizionati è considerata profondamente ingiusta, poiché tali prodotti hanno già assolto all’onere al momento della prima immissione sul mercato.
Mario Pissetti, presidente ASMI, ha dichiarato che le tariffe devono essere diminuite, non aumentate. In un mercato deflativo come quello della tecnologia, le imprese non hanno più margini per assorbire i compensi, che ricadrebbero interamente sui consumatori, generando un aggravio sui prezzi penalizzante. Il rischio è di compromettere la competitività delle imprese italiane oneste e favorire l’illegalità, con effetti distorsivi sul mercato legale e sull’occupazione.
La consultazione pubblica e le proposte alternative
La consultazione pubblica sul tema della revisione del compenso per copia privata si chiuderà il 15 settembre 2025, dopodiché il Ministero della Cultura ricalcolerà le nuove tariffe.
Il Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore, che propone gli aumenti, non include rappresentanti dei produttori hardware né dei consumatori, suscitando ulteriori critiche per la mancanza di equilibrio e trasparenza.
Dal canto suo, ASMI suggerisce di abolire il compenso per CD e DVD; dimezzare i compensi per tutti gli altri dispositivi, preservando le entrate della SIAE grazie a controlli più efficaci e recupero dell’evasione. Questa soluzione permetterebbe di allineare l’Italia agli standard europei, tutelare il mercato legale, sostenere l’economia circolare e ridurre i costi per consumatori e imprese.
Il rimborso per utilizzo di supporti a esclusivo titolo professionale
Chi acquista supporti di memoria per motivi professionali – ad esempio hard disk, chiavette USB, DVD o altri dispositivi destinati esclusivamente a lavoro, archiviazione aziendale o utilizzo in enti pubblici – in teoria può chiedere il rimborso del compenso per copia privata versato al momento dell’acquisto. Questo perché la tassa è concepita per compensare eventuali copie private di contenuti protetti da copyright: se il supporto è destinato esclusivamente a uso professionale, non dovrebbe essere soggetto a tale prelievo.
La procedura è complessivamente complessa: bisogna dimostrare concretamente che il dispositivo sarà utilizzato solo per scopi professionali e non per copie private. Inoltre, è richiesto di allegare una documentazione dettagliata: dichiarazioni ufficiali, fatture, moduli della SIAE e prove dell’uso esclusivo professionale.
Ad ogni modo, sul sito SIAE, nella sezione Rimborsi, sono presenti i moduli da compilare e inviare (via PEC) per richiedere il rimborso quando ciò sia dovuto.