Con l’avvicinarsi della fine del supporto per Windows 10, prevista per il 14 ottobre 2025, Microsoft ha intensificato la sua strategia di comunicazione per spingere gli utenti verso l’adozione di Windows 11. In un recente articolo pubblicato sul proprio sito, l’azienda di Redmond afferma che Windows 11 sarebbe 2,3 volte più veloce rispetto a Windows 10. Un’affermazione apparentemente entusiasmante, ma che, se analizzata con attenzione, mostra molteplici criticità sotto il profilo metodologico, tecnico e comunicativo.
L’analisi del benchmark Microsoft: perché non convince per nulla
Nel documento intitolato “Windows 11 PCs performance claims”, Microsoft illustra come ha condotto i test comparativi. I benchmark riguardano la riproduzione di un video locale su diversi laptop, misurando la durata della batteria e le prestazioni rilevate.
Uno dei punti più problematici è che Windows 10 e Windows 11 non sono stati testati sullo stesso hardware. I sistemi con Windows 10 montano CPU risalenti al periodo 2015–2019, mentre i dispositivi con Windows 11 si servono di chip di nuova generazione, prevalentemente del 2022 o successivi, come i recenti Intel Core Ultra. È possibile accorgersene immediatamente esaminando il contenuto delle tabelle al paragrafo “Test data for claims substantiation“.
Nuovo hardware ≠ nuovo sistema operativo più veloce
Dire che Windows 11 è 2,3 volte più veloce di Windows 10 è tecnicamente scorretto se l’affermazione si basa sull’utilizzo di hardware completamente diverso. Le performance dipendono in gran parte da elementi come:
- Architettura del processore
- Capacità e velocità della memoria RAM
- Tipo e velocità dell’unità SSD
- Capacità della batteria e gestione energetica
- Cache e ottimizzazioni specifiche della piattaforma
Il miglioramento prestazionale in questi test è attribuibile quasi esclusivamente alla modernità dell’hardware, non al sistema operativo in sé.
Un confronto credibile avrebbe richiesto lo stesso dispositivo testato prima con Windows 10 e poi con Windows 11, in condizioni controllate. Solo così si sarebbe potuto isolare l’effetto del sistema operativo sulle performance effettive.
Geekbench 6 non è adatto per misurare le prestazioni di Windows
Un benchmark sintetico cross-platform come Geekbench 6 è utile per misurare le prestazioni di CPU e GPU attraverso una serie di test simulati che imitano operazioni reali: compressione/decompressione dati, applicazione di filtri fotografici, rendering di contenuti HTML, riconoscimento vocale, analisi di immagini.
I risultati sono espressi in due punteggi:
- Single-core score: misura la performance di un singolo core del processore.
- Multi-core score: valuta la performance totale sfruttando tutti i core disponibili.
Ma attenzione: Geekbench non misura il sistema operativo. Valuta le capacità grezze della CPU in condizioni controllate.
Nello specifico, Geekbench non considera le ottimizzazioni del kernel tra versioni di Windows; non misura la responsività dell’interfaccia utente, né il tempo di avvio delle app; non tiene conto di driver, gestione energetica, servizi in background, scheduler. In altre parole, il risultato è sempre quasi identico su Windows 10 e Windows 11 a parità di hardware, salvo piccole differenze dovute alla presenza di patch specifiche e attività eseguite in background.
Dove sono i processori AMD?
Un’altra criticità del test Microsoft riguarda l’assenza totale di sistemi con CPU AMD. In un mercato in cui AMD rappresenta una quota significativa, soprattutto tra i dispositivi di fascia media e alta, escluderla da un test comparativo solleva dubbi sulla rappresentatività dei dati.
Non è chiaro se questa scelta sia stata dettata da ragioni tecniche o da motivazioni di marketing, ma è evidente che i risultati non possono essere considerati validi per l’intera base di utenti Windows.
Il rischio per gli utenti: credere a numeri decontestualizzati
Benchmark come quello citato da Microsoft può risultare fuorviante, soprattutto per gli utenti meno esperti. Chi legge “2,3 volte più veloce” potrebbe pensare che aggiornando semplicemente il sistema operativo otterrà un enorme incremento prestazionale, anche su hardware datato. Questo è palesemente falso.
Peggio ancora, qualcuno potrebbe sentirsi obbligato ad acquistare un nuovo computer basandosi su dati poco affidabili, con un impatto economico non trascurabile. È un approccio discutibile, che rischia di trasformare la fine del supporto per Windows 10 in una spinta commerciale forzata piuttosto che in un’occasione di evoluzione tecnologica genuina.
Per venire incontro agli utenti, Microsoft ha recentemente deciso di offrire l’accesso gratuito al programma ESU (Extended Security Updates) fino al 13 ottobre 2025, agli utenti che desiderano restare con Windows 10 ancora per un altro anno. Anche qui, come abbiamo documentato nell’articolo su come ottenere gratis gli aggiornamenti di Windows 10 con Windows Backup, è sinora mancata un po’ di sana comunicazione.