TIM KKR: cosa significa la vendita della rete e cosa cambia

TIM vende NetCo, sostenuta anche dal Governo italiano, al fondo statunitense KKR. La rete di telecomunicazioni per l'accesso da postazione fissa, compresa la parte in fibra (FiberCop) e le interconnessioni che collegano l'Italia e l'Europa con il resto del mondo (Sparkle) passano a un operatore che si occupa di infrastrutture. Il maggiore azionista di TIM, Videndi, si mette di traverso e annuncia una battaglia legale.

L’arrivo di un’importante novità era nell’aria ormai da tempo. Così, il Consiglio di Amministrazione TIM, riunitosi sotto la presidenza di Salvatore Rossi, ha deciso per la vendita della rete fissa al fondo statunitense KKR (Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P.) accettando l’offerta vincolante avanzata a metà ottobre scorso. La notizia è importante perché TIM di fatto cede tutta la sua “dote” in termini di infrastrutture in fibra e rame, del valore di oltre 20 miliardi di euro.

Cos’è NetCo, oggetto dell’accordo TIM KKR

Nel 2021 TIM annunciò il piano di vendere le attività di rete fissa al fine di ridurre il debito. NetCo è la società creata dal gruppo Telecom Italia per gestire la rete fissa ed esercitare un controllo diretto sulla gestione dei cavi sottomarini Sparkle. Ad agosto 2023, il governo italiano ha approvato due decreti che consentono al Tesoro di acquisire una quota del 20% di NetCo, del valore di circa 2,2 miliardi di euro. L’obiettivo, con l’acquisizione della quota di minoranza, era quello di riconfermare il controllo pubblico su alcune scelte cruciali riguardanti un’infrastruttura che ritenuta strategica per il Paese.

L’accordo stretto con KKR, fa sì che il fondo d’Oltreoceano assuma il controllo proprio su NetCo, società che include anche FiberCop, la realtà wholesale che si occupa di aggiornare la rete per portare la connettività FTTH lungo la Penisola.

Quanto vale l’acquisizione della rete da parte di KKR

L’offerta vincolante di KKR valorizza NetCo (esclusa Sparkle) a 18,8 miliardi di euro, senza considerare eventuali incrementi del valore derivanti da condizioni accessorie che potrebbero elevare la cifra finale della transazione fino a 22 miliardi di euro. Il passaggio nel portafoglio di KKR della rete di telecomunicazioni italiana e della connettività intercontinentale Sparkle dovrebbe avvenire entro l’estate 2024 (fatte salve tutte le verifiche che condurranno le Autorità preposte) passando attraverso Optics BidCo, impresa direttamente controllata da KKR.

Rossi, presidente TIM, afferma che “la cessione della rete a un investitore infrastrutturale come KKR ha trovato anche l’apprezzamento del Governo, che sosterrà questa operazione con ingenti risorse; ridà una prospettiva di crescita al Gruppo TIM. La nuova TIM dei servizi, più libera da pesi finanziari e più forte sul mercato, potrà dare il suo contributo a sviluppare quella capacità di innovazione che è fondamentale per accompagnare famiglie, imprese e pubblica amministrazione verso un futuro totalmente digitale“.

Frutto di due anni di lavoro, l’intesa con KKR dà, secondo Pietro Labriola, amministratore delegato di TIM, nuova “linfa all’infrastruttura di rete e allo stesso tempo consente a TIM di focalizzarsi sull’innovazione tecnologica che serve per governare il complesso mercato dei servizi digitali e giocare un ruolo da leader“.

Le resistenze di Vivendi, principale azionista di TIM

La vendita di NetCo a KKR dovrebbe aiutare TIM, come detto, a ridurre il suo debito e a concentrarsi sulle sue attività principali. Vivendi, maggiore azionista di TIM, che ha una quota di circa il 24%, si è subito messa di traverso osteggiando l’accordo e lamentando la mancata consultazione degli azionisti.

Il colosso francese ha bollato come “illegittima” la decisione del Consiglio di Amministrazione TIM parlando di violazione dei diritti degli investitori. Per questo motivo, Vivendi ha già minacciato di ricorrere a ogni strumento utile a tutelare i diritti dell’azienda e quelli di tutti gli azionisti.

In passato Vivendi aveva indicato come la valutazione di KKR fosse sottodimensionata: il gruppo d’Oltralpe sosteneva come gli asset dell’ex monopolista oggetto dell’accordo non potessero essere venduti a meno di 30 miliardi di euro.

All’orizzonte il progetto di una rete unica

Al momento sono due gli operatori che si occupano delle infrastrutture di rete in Italia. Da un lato c’è TIM-NetCo, che dovrebbe appunto passare sotto l’egida di KKR, dall’altro Open Fiber che ad agosto 2021 ha visto “l’uscita” di Enel con il trasferimento delle quote societarie al fondo australiano Macquarie Asset Management. Attualmente, la proprietà di Open Fiber è ripartita tra la società finanziaria di Stato Cassa Depositi e Prestiti, con una quota del 60%, e Macquarie (40%).

Open Fiber non vende direttamente i servizi di rete a banda ultralarga ai privati, alle imprese e alla Pubblica Amministrazione, ma si occupa di realizzare ed aggiornare la rete in fibra nella sua interezza per poi concederne l’utilizzo alle aziende partner.

La vendita della rete fissa di TIM a KKR non ha un impatto diretto su Open Fiber. Tuttavia, in futuro potrebbe tornare di grande attualità il piano che prevedeva la realizzazione di una rete unica nazionale a valle della fusione tra gli asset dell’ex monopolista e quelli realizzati in questi anni da Open Fiber. Non c’è ovviamente nulla sul tavolo e siamo ancora sul terreno delle semplici ipotesi (d’altra parte il closing dell’accordo TIM KKR non è ancora definito, visto anche il polverone sollevato da Vivendi). Ciononostante, l’obiettivo – esaminando anche le tante dichiarazioni delle “parti in causa” che si sono susseguite in una finestra temporale molto ampia – potrebbe essere quello di creare un unico operatore di rete per l’intero territorio italiano controllato da Cassa Depositi e Prestiti e compartecipato dai fondi stranieri.

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