Ci vorrà un tecnico autorizzato anche per installare un router?

Un provvedimento al vaglio del Parlamento sta generando, in queste ore, roventi polemiche in Rete.

Un provvedimento al vaglio del Parlamento sta generando, in queste ore, roventi polemiche in Rete. Secondo quanto dichiarato, la disposizione dovrebbe dare attuazione, nel nostro Paese, alla Direttiva UE 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni. Il passaggio che sta facendo più discutere è il seguente: “gli utenti delle reti di comunicazione elettronica sono tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che realizzano l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitate secondo le modalità e ai sensi del comma 2 (…) Chiunque, nei casi individuati dal decreto di cui al comma 2, effettua lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), realizzando l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, in assenza del titolo abilitativo di cui al presente articolo, è assoggettato alla sanzione amministrativa pecuniaria da 15.000 euro a 150.000 euro, da stabilirsi in equo rapporto alla gravità del fatto“.

La traduzione sembrerebbe essere chiara: chiunque installi, ad esempio, un semplice router deve essere un soggetto abilitato ed autorizzato. E’ Stefano Quintarelli che, dalle pagine del suo blog, ha per primo segnalato il problema (ved. questo articolo) e dato il via a tutta una serie di importanti riflessioni. All’articolo 1, comma 1, lettera a) del provvedimento si trova una definizione di quello che è considerata un'”apparecchiatura terminale“: il legislatore si riferisce alle “apparecchiature allacciate direttamente o indirettamente all’interfaccia di una rete pubblica di telecomunicazioni per trasmettere, trattare o ricevere informazioni; in entrambi i casi di allacciamento, diretto o indiretto, esso può essere realizzato via cavo, fibra ottica o via elettromagnetica; un allacciamento è indiretto se l’apparecchiatura è interposta fra il terminale e l’interfaccia della rete pubblica“. Un router ADSL, ad esempio, rientra – com’è immediato notare – nella definizione.

Vero è che nel testo del decreto viene puntualizzato che sarà il Ministro dello Sviluppo Economico a stabilire “i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1“, tuttavia in tanti si chiedono perché vi fosse il bisogno di una così massiccia dose di “burocratese” su un tema a proposito del quale, molto probabilmente, non v’era alcuna necessità di legiferare. Allo stato attuale, infatti, a nessun utente sarebbe consentito, in autonomia, pur possedendo le competenze tecniche per farlo, un comune router.

L’avvocato Guido Scorza, presidente dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione ed esperto di questioni connesse al diritto civile, industriale e della concorrenza, fa notare un aspetto che indubbiamente meraviglia. La Direttiva europea sopra citata, infatti, è tesa a liberalizzare il mercato della vendita dei terminali di comunicazione e della relativa installazione. In particolare, i Paesi membri dell’Unione vengono esortati a rimuovere i diritti esclusivi che ancora esistono in relazione all’importazione, all’immissione in commercio, all’allacciamento, all’installazione e alla manutenzione delle apparecchiature terminali delle telecomunicazioni. La posizione italiana, invece, sembra guardare nella direzione diametralmente opposta. Inoltre, il decreto “nostrano” rinvia ad ulteriori chiarimenti e disposizioni entro dodici mesi dall’entrata in vigore della norma.

Ma il testo della disposizione italiana (consultabile cliccando qui) viene criticato anche per ciò che riguarda il linguaggio impiegato. Il testo della normativa, infatti, parla di “interfaccia della rete pubblica“, terminologia vecchia che fa riferimento alla cosiddetta “borchia telefonica“. Nel suo blog, l’avvocato Fulvio Sarzana affronta il tema osservando come la disposizione abbia ben poco a che fare con la direttiva europea “che serve solo a “traghettare” il mercato dei terminali e delle installazioni degli apparati a casa dell’utente da un sistema controllato dallo stato ad un sistema liberalizzato“.

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