5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero?

Nelle ultime settimane, complici anche una serie di servizi andati in onda su alcuni network televisivi, si torna a parlare della pericolosità della tecnologia 5G. Diciamo subito che non c'è nulla di sostanzialmente diverso rispetto alle tecnologie già utilizzate (se non da un punto di vista prettamente tecnico e di performance) e che gli allarmismi inutili sono comunque da evitare. Vediamo perché.
5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero?

Da qualche settimana a questa parte non si fa altro che parlare della presunta pericolosità della tecnologia 5G e in particolare dei rischi, accentuati rispetto ad altre soluzioni, che presenterebbe per i cittadini. Cerchiamo di capire se si tratti di bufale o se possa esservi un fondo di verità.

Cos’è il 5G e quali vantaggi introduce

Iniziamo che con la sigla 5G si fa riferimento alle tecnologie e agli standard di quinta generazione per la telefonia mobile.
Il vantaggio del 5G è essenzialmente prestazionale: se la banda di picco che una singola cella LTE usata dagli operatori di telefonia mobile è oggi pari a 1 Gbps; con le reti di quinta generazione ciascuna cella dovrà sostenere almeno 20 Gbps in downstream e 10 Gbps in upstream. Un’ampiezza di banda che viene quindi significativamente estesa.
Inoltre, i benefici si tradurranno anche in una bassissima latenza, con valori non superiori al millisecondo (almeno stando a quanto stabilito dall’ITU, Unione internazionale delle telecomunicazioni) quando usando le attuali reti mobili la latenza è spesso non inferiore a 70 ms nei casi migliori.

Gli ingredienti tecnologici che hanno spinto l’industria, a livello planetario, ad abbracciare velocemente il 5G sono essenzialmente quattro: piccole celle, virtualizzazione
delle funzioni di rete, multi-access edge computing e massive MIMO
.
Il 5G differisce rispetto alle attuali soluzioni per le telecomunicazioni anche per le nuove interfacce radio NR (New Radio) utilizzate nonché per i nuovi sistemi di codifica, multiplazione e correzione degli errori (Filtered OFDM, Sparse Code Multiple
Access, Polar Codes
,…).

Nell’articolo 5G, cos’è, come funziona e quando i terminali saranno compatibili abbiamo cercato di approfondire molte di queste caratteristiche.

Il grafico in figura, realizzato da Maurizio Dècina, presidente di Infratel Italia e Professore Emerito presso il Politecnico di Milano, ben evidenzia gli enormi progressi che sono stati compiuti da metà anni ’90 fino ad oggi e contiene anche una proiezione in ottica futura.

A livello di rete mobile, basti pensare che le comunicazioni basate sullo standard GSM, nel 1995, permettevano di trasferire 10 kbps per canale; con LTE, oggi, si sono superati i 100 Mbps per canale (quindi 10.000 volte tanto) e con le reti 5G si arriverà a sfondare il tetto dei 20 Gbps (ovvero 20.000 Mbps).

Dècina spiega che, secondo le sue valutazioni, la fibra ottica continuerà a fare la parte del leone almeno per vent’anni: la fibra monomodale dei backbone (ovvero le dorsali della rete Internet ad elevata capacità) ha però un limite teorico: 560 Tbps (ovvero 560.000 Gbps). Ciò significa che già dopo il 2025 sarà importante ricorrere a nuove tecnologie per ampliare ulteriormente la capacità della rete e si adopererà un approccio MIMO (Multiple Input Multiple Output) così da poter sfruttare più canali in parallelo tra sorgente e destinazione anziché uno soltanto.

Nel caso del 5G, come accennato, in precedenza si usano tecniche Massive MIMO e si utilizzano ulteriori porzioni dello spettro delle frequenze: microonde e onde millimetriche, fino a 100 GHz.

I dispositivi connessi alla rete Internet (mondo Internet delle Cose) cresceranno esponenzialmente in numero nel corso dei prossimi anni: è quindi fondamentale che la rete sappia rispondere adeguatamente alle richieste (da qui l’esigenza di un approccio Massive MIMO).

In Italia sono state assegnate agli operatori di telefonia mobile che hanno vinto i vari bandi per l’assegnazione dei diritti di licenza e utilizzo delle frequenze tre bande distinte: 694-790 MHz, 3600-3800 MHz e 26,5-27,5 GHz.
Le prime due “fette” dello spettro non sono una novità mentre lo è l’attribuzione delle frequenze elevate, intorno ai 26-28 GHz.

Le frequenze più basse consentono il più agile superamento degli ostacoli ma le più alte garantiscono velocità di trasferimento dati maggiori. Ecco quindi che le frequenze 26,5-27,5 GHz saranno adoperate per offrire la connettività 5G a prestazioni elevate con antenne di piccole dimensioni (le “piccole celle“) alle quali facevamo riferimento in apertura) opportunamente distribuite a livello locale e all’interno degli edifici.

In futuro si lavorerà sempre di più con le cosiddette onde millimetriche: si chiamano così perché la loro lunghezza d’onda varia tra 1 e 10 millimetri (utilizzano lo spettro compreso tra 30 e 300 GHz). L’obiettivo è di arrivare a velocità di trasferimento dati dell’ordine del Terabit per secondo e se ne sta già parlato, con WiGig (802.11 ay) in ottica WiFi: WiGig: cos’è e come funziona la tecnologia che affiancherà Wi-Fi 6 o 802.11 ax.

Oltre alla realizzazione di piccole celle 5G, le frequenze 26,5-27,5 GHz verranno usate in Italia anche per approntare collegamenti radio ultraperformanti tra antenne posizionate in perfetta visibilità ottica. Dal momento che una connessione punto-punto di questo tipo permette di ottenere velocità anche molto superiori a diversi Gigabit per secondo, gli operatori useranno soluzioni di questo tipo per assicurarsi prestazioni migliori rispetto allo stesso uso della fibra ottica su distanze fino a 5-10 chilometri e con investimenti contenutissimi.

Come accennavamo nell’introduzione, inoltre, il 5G è foriero di importanti innovazioni architetturali con la possibilità di usare in maniera estesa sistemi di virtualizzazione della rete con una maggiore efficienza ed efficacia in termini di consumi di energia, tempi di creazione del servizio e flessibilità nell’uso dell’hardware (oltre che importanti risparmi).

La rete 5G “s’ha da fare“, insomma, perché offrirà – tra le varie caratteristiche – un elevato throughput (aspetto utilissimo per i servizi video e la realtà aumentata); bassissima latenza ed alta affidabilità (cruciale per i servizi IoT mission critical); la possibilità di erogare servizi riducendo al minimo i consumi energetici (si pensi a sensori ultracompatti e device dotati con batterie a lunga vita, nell’ordine di 10 anni…).

Il 5G è pericoloso? Le tante bufale che rimbalzano in rete

Ben compresa l’importanza che porta con sé il dispiegamento delle reti 5G, torniamo alla domanda iniziale: il 5G è pericoloso?

Iniziamo col dire che molte testate straniere (e anche alcune italiane…) hanno iniziato a parlare di apocalisse 5G” paventando rischi per la salute dei cittadini e invocando il principio di precauzione.

Il “pensare comune” suggerisce che aumentando la velocità di trasferimento dati e le frequenze operative possano crescere i rischi per la salute. Non è così.

Gli operatori italiani si sono aggiudicati frequenze che sono nell’ordine di quelle già sino ad oggi adoperate e comunque elevando le frequenze usate per la trasmissione di dati avviene più velocemente, in meno tempo quindi e con un ridotto impiego di energia.

Non esistono prove scientifiche che l’esposizione a campi elettromagnetici possa provocare danni per la salute: ne abbiamo parlato anche di recente nell’articolo WiFi non fa male alla salute: nuove evidenze scientifiche e a settembre 2018 abbiamo dato conto dei risultati dello studio durato 10 anni ed elaborato dal NIH (National Institutes of Health) statunitense: Radiazioni telefono cellulare e tumori: le conclusioni di uno studio durato 10 anni.
Le considerazioni, però, non valgono solo per il 5G o per il WiFi ma per qualunque altro dispositivo che emette segnali elettromagnetici.

Ciascuno di noi vive ogni giorno in un “mare” di radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti: esse permeano la nostra civiltà e l’inquinamento elettromagnetico, seppur con varie intensità, è diffuso oggi sia nelle aree densamente popolose così come in quelle meno urbanizzate.

Buona parte dei dispositivi che usiamo (lo smartphone, il tablet, il router, gli access point WiFi, i range extender, lo smart TV, il decoder TV smart, i TV box, gli auricolari Bluetooth, gli amplificatori WiFi/Bluetooth, le chiavette dotate di SIM/connettività WiFi,…) contribuiscono all’inquinamento elettromagnetico ma il loro apporto è da considerarsi talmente contenuto da essere di fatto irrilevante.

Nel caso dei router, degli access point e degli altri dispositivi per le telecomunicazioni le informazioni vengono trasferite usando lunghezze d’onda inferiori a quelle della luce (spettro ottico, visibile): in questi casi non vi sono rischi di alterazione delle molecole che compongono il tessuto del corpo umano e si parla infatti di radiazioni non ionizzanti.

Le intensità con le quali i segnali elettromagnetici vengono irradiati sono estremamente basse. Per rendersene conto ci si può attrezzare con un analizzatore di RF (Radiofrequency) e ELF (Extremely low frequency), possibilmente professionale. Anche i prodotti più semplici consentono comunque di valutare l’elettrosmog esaminando anche i contributi relativi a trasmissioni fuori banda.
Per una “misura spannometrica” ci si può accontentare dell’app gratuita per dispositivi Android chiamata ElectroSmart. Nata sotto l’ala di INRIA (Istituto nazionale per la ricerca nell’informatica e nell’automazione), istituto francese che si occupa di ricerca sui temi dell’informatica, dell’automazione e della matematica applicata, ne abbiamo parlato nell’articolo Campi elettromagnetici: possibile misurarli con uno smartphone?.

Al momento l’app offre una valutazione circa la propria esposizione ai campi elettromagnetici (sulle bande usate dalla telefonia mobile, WiFi e Bluetooth, compatibilmente quindi con i moduli radio fisicamente presenti nello smartphone) fornendo un punteggio.
Accedendo al menu principale dell’app, però, si può ottenere un valore stimato in sottomultipli del Watt e in dBm).

Nel nostro caso, a breve distanza da un router ElectroSmart ha mostrato ad esempio un valore di potenza pari a 600 nW cioè 0,0006 mW.

Va tenuto presente che al momento dell’installazione dell’app ElectroSmart non è assolutamente obbligatorio conferire alcun dato personale e si può saltare quindi tutta la fase di richieste iniziali. Si deve solamente rilasciare la propria posizione geografica, usata per finalità statistiche.

Purtroppo intorno alle bufale sulla pericolosità dei campi elettromagnetici si è sviluppato un fiorente business. In rete si trovano fasulli apparecchi per difendersi dalle onde, corsi a pagamento per conoscere le migliori protezioni, addirittura cappellini e mutande “schermate”, versioni moderne delle proverbiali mutande di ghisa per tutelarsi da una vasta schiera di minacce.

È certamente vero che a suo tempo (settembre 2017) 180 studiosi hanno chiesto una moratoria in vista del dispiegamento della nuove reti 5G con il preciso obiettivo di studiare gli effetti a lungo termine dell’esposizione ai campi elettromagnetici.
Ma è altrettanto vero che a seguito di studi pluriennali non sono mai emersi evidenze che possano rappresentare neppure un indizio.

La stessa AIRC (Associazione italiana per la ricerca sul cancro), citando la stessa Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), osserva come i campi elettromagnetici siano classificati quali cancerogeni di gruppo 2B, ovvero come “cancerogeni di gruppo 2B, ovvero come possibilmente cancerogeni per gli esseri umani: agenti per i quali vi è una limitata prova di cancerogenicità negli esseri umani e un’insufficiente prova di cancerogenicità in animali di laboratorio“.
Nella stessa pagina si legge che “no, non ci sono attualmente prove scientifiche sufficienti a sostenere un rapporto diretto di causa ed effetto tra l’esposizione a campi elettromagnetici e il cancro, ma la comunità scientifica concorda sul fatto che sono necessari ulteriori studi“.

Il principale effetto biologico della penetrazione delle onde elettromagnetiche nel corpo umano è il riscaldamento, aspetto al limite rilevabile tenendo per ore uno smartphone all’orecchio. “Tuttavia i livelli a cui siamo normalmente esposti sono troppo bassi per causare un riscaldamento significativo. Attualmente non sono noti effetti sulla salute causati dall’esposizione a lungo termine“, aggiunge AIRC.

Basti pensare che un forno a microonde scalda sì i cibi (l’energia delle microonde viene assorbita prevalentemente per il rapido movimento oscillatorio di ioni e molecole; il movimento rapido, per causa dell’attrito, viene convertito in calore) ma per farlo irradia una potenza di circa 1.000 Watt confinati per la quasi totalità nel vano interno (vedere anche questa pagina).

Un’app come la citata ElectroSmart aiuta ad aprire gli occhi e mettere in evidenza quanto le potenze in gioco siano veramente limitate, scoprendo le sorgenti più importanti dei campi elettromagnetici.
Soprattutto, l’applicazione ha il grande merito di far capire come il segnale elettromagnetico diminuisca significativamente all’aumentare della distanza dalla fonte emissiva. Si tenga presente che se un router trasmette con una potenza pari a 100 mW (0,1 W), il massimo consentito in Italia e in Europa, a distanza di due metri si assorbiranno appena 0,025 Watt; a quattro metri 0,00625 Watt e così via.
Va infatti applicata la legge dell’inverso del quadrato (così come nel caso della luce, del suono, della gravità): 1/d2 dove d è la distanza dalla fonte emissiva.

Il dispiegamento delle nuove reti 5G, quindi, non comporterà un aumentato rischio per la salute dei cittadini tenendo presente che “spannometricamente” l’esposizione più elevata non è provocata dall’antenna della telefonia mobile quanto dall’utilizzo “smodato” dello smartphone.
Ragionevole è non tenere sempre lo smartphone in chiamata vicino alla testa o in trasferimento dati continuo molto vicino al corpo ed evitare di stare sempre con il router WiFi davanti al viso.
Vedere anche Radiazioni smartphone: i parametri SAR aggiornati dei vari modelli: tenendo presente che i valori rilevati sono comunque inferiori a quelli di legge. Nell’articolo si fa riferimento al parametro che esprime la quantità di potenza da radiofrequenze assorbita dal corpo umano nell’unità di tempo quando esso viene esposto al campo elettromagnetico prodotto dallo specifico modello di cellulare o smartphone.

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