Come potrebbe fare Intel per esternalizzare la produzione dei suoi processori?

Con l'arrivo di Pat Gelsinger alla guida di Intel si parla sempre di più di una possibile esternalizzazione della produzione dei processori.

Subito dopo che il fondo Third Point, uno dei principali investitori in Intel, ha chiesto all’azienda di esplorare “alternative strategiche” come lo scorporo delle sue fabbriche e la cessione di acquisizioni rivelatesi poco redditizie (Third Point auspica un deciso cambio di rotta per Intel), il consiglio di amministrazione ha reagito con un rapido cambio del CEO facendo succedere Pat Gelsinger – con alle spalle una “militanza” in Intel durata trent’anni – a Bob Swan (Da febbraio Bob Swan non sarà più CEO di Intel: chi arriverà al suo posto).

Leggendo neanche troppo tra le righe, Gelsinger sarebbe orientato a esternalizzare la produzione di alcuni processori Intel allentando la pressione sugli stabilimenti dell’azienda. Ma quali opzioni ci sarebbero sul tavolo?

Molte delle società acquisite da Intel nel corso degli anni hanno già utilizzato fabbriche di semiconduttori come TSMC. Tuttavia, Intel è rimasta fedele alle sue radici e ha realizzato i suoi processori x86 e altri prodotti chiave facendo leva soltanto sui suoi stabilimenti.
AMD aveva scelto un’impostazione simile tanto che il cofondatore della società, Jerry Sanders, per lungo tempo CEO dell’azienda, aveva più volte espresso la volontà di non affidare la produzione dei chip. a soggetti terzi.
A seguito delle note difficoltà finanziarie attraversate da AMD nel passato e a causa dei costi crescenti derivanti dal mantenimento di stabilimenti propri, l’azienda ha alla fine deciso di rivolgersi a fabbriche indipendenti di semiconduttori per realizzare i suoi prodotti.

Da parte sua Intel provò a diventare addirittura fabbrica per la produzione di chip per conto terzi ma il progetto si arenò per diversi motivi tra cui le differenze tra il processo costruttivo e gli strumenti usati da Intel a confronto delle soluzioni degli altri produttori.
L’azienda di Santa Clara si è inoltre sempre mostrata riluttante a modificare il suo processo costruttivo per soddisfare le esigenze di altri clienti.
Nel 2016 Intel annunciò addirittura il suo impegno a supportare l’ISA (Instruction Set Architecture) ARM al fine di supportare la produzione di processori basati su questa architettura utilizzando in particolare il suo nodo a 10nm. Intel, com’è noto, ha riscontrato non pochi problemi ad alimentare la produzione di chip realizzati a 14 e 10 nm. Così, l’annuncio destò poco interesse poiché le altre fabbriche orientali erano già largamente abituate a gestire le commesse per la realizzazione di prodotti basati sull’architettura ARM.
Intel ha allora iniziato a rivestire il ruolo di fabbrica per i chip FPGA a 14 nm di Altera per poi acquisire l’azienda.

Secondo molti osservatori, la mossa più logica per Intel sarebbe a questo punto iniziare a rivolgersi a GlobalFoundries per la realizzazione di parte dei suoi processori. Addirittura, si ipotizza una possibile acquisizione di GlobalFoundries da parte di Intel.

GlobalFoundries – che, lo ricordiamo, è stata creata nel 2009 a seguito della cessione delle attività di fonderia di AMD – ha fabbriche in Germania, Singapore e negli Stati Uniti. Sebbene sia stata tagliata fuori dalla concorrenza fatta di nomi quali TSMC e Samsung, resta comunque una delle prime tre fabbriche di semiconduttori al mondo con il vantaggio di stabilimenti dislocati in aree molto diverse del globo (un beneficio logistico interessante per Intel).
In un primo tempo l’idea potrebbe essere quella di spostare su GlobalFoundries la produzione dei processori Intel di fascia più bassa (Celeron, Pentium e forse Core i3) per riuscire a gestire e sostenere la domanda relativa ai prodotti di alto profilo nei suoi propri stabilimenti dando allo stesso tempo un impulso alle CPU a 10 nm.

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