Google Play apre ai sistemi di pagamento di terze parti

Google si accorda con Spotify per aggiungere un primo metodo di pagamento alternativo rispetto a quello normalmente proposto agli utenti.

Quella annunciata oggi con un accordo siglato con Spotify è una svolta epocale per Google.
Gli sviluppatori potranno utilizzare sistemi di pagamento alternativi rispetto a quello finora imposto dall’azienda di Mountain View. La novità riguarda potenzialmente la totalità delle app pubblicate sul Play Store.

Gli utenti possessori di dispositivi Android potranno a loro volta scegliere con quale sistema di pagamento saldare un prodotto o un servizio scegliendo tra quelli proposti.

Si comincia con Spotify: grazie a un accordo tra le due aziende, gli utenti potranno scegliere se usare il metodo di pagamento Google oppure quello proposto dall’azienda di Daniel Ek.

Alex Norström, Chief Freemium Business Officer Spotify, ha commentato: “Spotify è impegnata a garantire che gli sviluppatori di app abbiano la libertà di innovare e competere in condizioni di parità. Siamo entusiasti di collaborare con Google per esplorare il nuovo approccio che permette di scegliere tra più metodi di pagamento, un’opportunità per gli sviluppatori, gli utenti e l’intero ecosistema Internet. Speriamo che il lavoro che faremo insieme apra una strada che possa portare benefici al resto dell’industria“.

Non aspettatevi però che il Play Store si immediatamente subito a metodi di pagamento alternativi. La decisione di Google è figlia di una prescrizione imposta dagli enti regolatori sudcoreani: qui è stato stabilito che i negozi di app sono tenuti ad offrire opzioni di pagamento diversificate entro i confini del Paese.

Sono comunque i portavoce di Google a lasciare intendere che i sistemi di pagamento alternativi a quello normalmente disponibile sul Play Store saranno progressivamente portati in altri Paesi, compresi quelli europei.

Non è un caso che la prima intesa sia arrivata proprio con Spotify. Come ricorderete, l’azienda leader nello streaming di contenuti audio ha accusato Apple di usare pratiche anticoncorrenziali impedendo agli sviluppatori di terze parti l’uso di sistemi di pagamento alternativi e applicando commissioni definite “discriminatorie”.

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