Il CEO di Google, Sundar Pichai, risponde alle domande del Congresso USA

Cos'ha detto, in breve, l'amministratore delegato di Google davanti al Congresso statunitense in materia di trattamento dei dati, funzionamento del motore di ricerca, possibile sbarco in Cina, teorie cospirazioniste e lotta alle discriminazioni.

L’amministratore delegato di Google, Sundar Pichai, si è presentato ieri dinanzi al Congresso degli Stati Uniti d’America per rispondere alle domande riguardanti alcune tematiche che vedono protagonista l’azienda fondata dal duo Page-Brin.
Tanti gli argomenti che si sono intersecati con il CEO di Google che è rimasto a disposizione per circa tre ore. L’attività dell’azienda di Mountain View, così come quella esercitata da altri colossi quali Facebook e Twitter è infatti costantemente al vaglio delle autorità e degli enti governativi: si tratta di aggregatori di contenuti prodotti da milioni di utenti e il loro ruolo è cruciale.

Pichai ha innanzi tutto risposto a chi gli chiedeva conto delle tante informazioni che i dispositivi Android condividono ogni giorno con i server di Google: nell’articolo Quanti e quali dati raccoglie Google sui dispositivi Android abbiamo presentato un recente studio che descrive la mole di dati inviati sul cloud.

A questo proposito Pichai ha spiegato che sono gli stessi utenti a scegliere di condividere i dati: la tesi è che i permessi delle app Android servono anche a questo, ovvero a stabilire quali informazioni possono essere condivise e quali no. Sta all’utente utilizzare in maniera ragionata i suoi dispositivi mentre spetta a Google informare sulle raccolte di dati in essere attraverso una policy sulla privacy.
L’AD di Google ha anche spiegato che la società invita gli utenti a fare un controllo sulle impostazioni privacy rendendo molto evidente questa richiesta.

Per quanto riguarda il progetto Dragonfly, un presunto motore di ricerca Google parzialmente censurato per venire incontro alle richieste del governo cinese, Pichai non ha rilasciato commenti limitandosi ad asserire che in Cina Google non è presente con alcun suo motore di ricerca. Non è però escluso che l’azienda venga incontro ai cittadini cinesi aiutando a risolvere problematiche correlate con l’istruzione o l’assistenza sanitaria.
Qualunque passo dovesse compiere in terra cinese, però, Google assicura che coinvolgerà il legislatore e le istituzioni.

Rispondendo alle domande per cui alcuni argomenti, ad esempio quelli che mettono in cattiva luce il lavoro dei repubblicani, possano contare su una maggiore visibilità nelle pagine del motore di ricerca, Pichai ha spiegato che nessun dipendente Google è in grado di attivarsi per modificare il ranking dei risultati proposti nelle SERP ovvero nelle pagine dei risultati del motore di ricerca.
Facendo un lungo excursus sulle modalità con cui funziona il motore di ricerca di Google, come i contenuti vengono indicizzati, come ne viene stabilito l’ordinamento nelle SERP, dopo aver presentato alcuni criteri utilizzati per comporre il ranking, Pichai ha confermato che non esistono interventi manuali su singoli risultati delle ricerche.

In altre parole, diciamo noi, è noto che Google apporti frequenti modifiche agli algoritmi di ranking ma nessuna modifica è pensata ed eseguita per favorire o penalizzare determinati risultati.

Pichai ha spiegato come la sua azienda abbia effettuato ad esempio degli studi sulle sorgenti di notizie utilizzate per comporre i risultati proposti agli utenti attraverso Google News: è emerso che esiste un bilanciamento – ad esempio in campo politico – tra le testate più apertamente schierate a sinistra e quelle di destra.

Per quanto riguarda le teorie cospirazioniste su YouTube, Pichai ha spiegato che ogni minuto gli utenti della piattaforma di condivisione video caricano qualcosa come 400 ore di nuovi contenuti. Già le attuali politiche di Google fanno sì che l’azienda possa attivarsi in maniera manuale o automatizzata per la rimozione di contenuti che incitano all’odio, al male o violenti.

A una specifica richiesta, Pichai ha altresì garantito che Google è in prima linea nella lotta alle discriminazioni, di qualunque genere esse siano.

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