Il numero uno di Alexa sostiene che il test di Turing non è uno strumento utile per valutare le intelligenze artificiali

L'intelligenza artificiale non deve più imitare il comportamento degli esseri umano. L'obiettivo è invece semplificare la vita di ciascun individuo fornendo risposte utili e possibilmente anticipando le sue necessità.
Il numero uno di Alexa sostiene che il test di Turing non è uno strumento utile per valutare le intelligenze artificiali

Il test di Turing è una prova che consente di stabilire se una macchina sia in grado di interagire ricalcando il comportamento e il modo di pensare di un essere umano.
Fu ideato 70 anni fa dal matematico e crittografo Alan Turing, uno dei padri indiscussi dell’informatica oltre che genio del XX secolo.

In risposta alla domanda “Le macchine possono pensare?” Turing presentò un criterio utile a determinare se una macchina sia in grado di esibire un comportamento intelligente e ne parlò in questo storico articolo.
Lo scienziato ipotizzò che entro l’anno 2000 un umano avrebbe avuto meno del 70% di possibilità di distinguere un’intelligenza artificiale (IA) da un’altra persona in carne ed ossa in un gioco chiamato imitation game in cui l’identità di chi risponde – un umano o un’IA – è nascosta al valutatore.

Obiettivo del test era appunto quello di determinare se una macchina possa mostrare un comportamento conversazionale indistinguibile da quello umano.
Rohit Prasad, scienziato a capo del progetto Amazon Alexa, si chiede perché l’industria, a distanza di 20 anni dal traguardo posto da Turing, non sia stata ancora in grado di raggiungere l’obiettivo prefisso.

Prasad osserva che il traguardo proposto da Turing non è probabilmente più da considerarsi “utile”. “Il test di Turing è irto di limitazioni“, continua, “alcune delle quali sono state oggetto di dibattito da parte dello stesso Turing“.

Con gli algoritmi di intelligenza artificiale sempre più presenti e integrati negli smartphone, nelle auto, nelle smart home, “è diventato sempre più evidente che alle persone interessa molto di più che le loro interazioni con le macchine siano utili, senza soluzione di continuità e trasparenti“. Secondo Prasad il concetto di macchine indistinguibili da un essere umano è ormai fuori luogo.

Il test di Turing è stato fonte d’ispirazione per decenni ma, sempre per il numero uno di Alexa, sarebbe ormai giunta l’ora di lanciare una nuova sfida.
Negli anni successivi alla sua introduzione il test di Turing ha assunto il ruolo di stella polare nel mondo accademico. Il funzionamento dei primi chatbot degli anni ’60 e ’70, ELIZA e PARRY, erano incentrati proprio sul superamento del test.
Nel 2014 il chatbot Eugene Goostman fu presentato come il primo in assoluto ad aver superato correttamente il test di Turing: il 33% dei valutatori indicò che le risposte erano state fornite da un umano. Ne parlammo anche noi, all’epoca: Ecco Eugene, supercomputer che supera il test di Turing.
I risultati ottenuti furono però da più parti oggetto di contestazione perché giudicati tutt’altro che incontrovertibili.

Il modello linguistico Generative Pre-trained Transformer 3 (GPT-3) ha fatto parlare tanto di sé da giugno 2020 per il potenziale utile a superare il test di Turing.

Scrive Prasad: “mi viene ancora chiesto da giornalisti, dirigenti d’azienda e altri osservatori quando Alexa supererà il test di Turing. Certamente il test di Turing è un modo per misurare l’intelligenza di Alexa ma è consequenziale e rilevante misurare l’intelligenza di Alexa in questo modo?”

Nel 1950, quando fu presentato il test di Turing, il primo computer commerciale non era ancora stato venduto, le basi per procedere alla realizzazione dei cavi in fibre ottica non sarebbero state pubblicate per altri quattro anni e il campo dell’intelligenza artificiale non era qualcosa di riconosciuto (lo sarebbe stato solo a partire dal 1956).
Ora abbiamo 100.000 volte più potenza di calcolo sui nostri smartphone rispetto a quella utilizzata dall’Apollo 11 e facendo leva su cloud computing e connettività ad ampia larghezza di banda, le IA possono prendere decisioni basate su enormi quantità di dati in pochi secondi.

Per rendere l’IA più utile ai giorni nostri, questi sistemi devono svolgere i compiti quotidianamente assegnati loro in modo efficiente.
Se chiedete al vostro assistente digitale di spegnere le luci del garage, non cercate di avere un dialogo. Al contrario, vorreste che esaudisse la richiesta e vi informasse sulla corretta comprensione del comando impartito. (…) Anche quando vi impegnate in un dialogo con un assistente digitale basato su IA o chiedete la lettura di una storia vorreste comunque sapere che si tratta di un’IA e non di un essere umano“, dice ancora il capo del progetto Alexa. “Ingannare gli utenti fingendo di essere umani rappresenta un rischio reale. Immaginate le possibilità distopiche, come abbiamo già cominciato a vedere con i bot che seminano disinformazione“.

Il fine ultimo non dovrebbe quindi più essere il superamento del test di Turing quanto piuttosto la realizzazione e l’ottimizzazione di IA capaci di migliorare l’intelligenza umana e la vita di ogni giorno in un modo che sia allo stesso tempo equo e inclusivo.

Strumenti come Alexa, si osserva ancora, rappresentano un’ottima opportunità per misurare i progressi in fatto di IA.
Finora ci si è concentrati su capacità di conversazione con gli umani per completare sia semplici transazioni (ad esempio, impostare una sveglia) sia compiti complessi (ad esempio, pianificare un fine settimana).
Si sta però puntando sempre più sul concetto di Ambient AI: l’intelligenza artificiale risponde alle richieste quando se ne ha effettivamente la necessità, anticipa le esigenze degli utenti e “svanisce” allorquando non dovesse rilevare alcuna interazione.

Prasad rammenta che Alexa è in grado di rilevare il suono del vetro che si rompe e di avvertire tempestivamente il proprietario dell’immobile. Se si imposta una sveglia mentre si va a letto, l’assistente digitale suggerisce per esempio di spegnere una luce lasciata accesa.

Le IA devono diventare esperte in un numero sempre maggiore di ambiti, cosa possibile solo con una capacità di apprendimento più generalizzata invece che con un’intelligenza specifica nella gestione di singoli compiti.
Nel prossimo decennio e oltre l’utilità dei servizi di IA si misurerà sulla base delle capacità di assistenza conversazionale e proattiva.

Per Prasad non vi è ovviamente l’intento di denigrare la visione originale di Turing: è invece giunta l’ora di svincolarsi da quell’imitation game che oggi appare anacronistico.
È invece opportuno lasciarsi ispirare dalla visione audace di Alan Turing per accelerare il progresso nella costruzione di IA progettate per aiutare davvero gli esseri umani in qualunque situazione.

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