Inventore di Gmail: ChatGPT lascerà a Google appena due anni di autonomia

Paul Buchheit, inventore di Gmail, disegna un futuro a tinte fosche per Google che in tasca sembra abbia comunque l'anti-ChatGPT.

Da quando è stato lanciato il chatbot ChatGPT tante cassandre non hanno fatto che prevedere un futuro buio per Google. Al coro dei pessimisti si aggiunge un nome di spicco: Paul Buchheit.

Statunitense, classe 1977, Buchheit è l’inventore di Gmail: è il dipendente numero 23 di Google, quindi tra i primissimi a salire sul treno guidato da Larry Page e Sergey Brin, che ha lavorato anche sui prototipi del sistema di advertising utilizzato dall’azienda di Mountain View sul Web.

L’ingegnere informatico ha iniziato a sviluppare Gmail all’interno di Google nel 2001 per poi vedere lanciata la sua “creatura” ad aprile 2004. Dopo aver abbandonato Google nel 2006, successivamente Buchheit si è dedicato al suo progetto FriendFeed poi acquisito da Facebook nel 2009. Lasciata la società di Zuckerberg nel 2010, oggi è essenzialmente un angel investor che convoglia i suoi capitali in decine e decine di startup promettenti.

Parlando in generale dei modelli generativi basati sull’intelligenza artificiale, quindi non solo di ChatGPT, Buchheit ha detto (testuali parole): “a Google potrebbero restare appena un anno o due prima della totale distruzione. L’intelligenza artificiale eliminerà le pagine dei risultati di ricerca, la principale fonte di denaro per l’azienda. Anche se si mettessero al passo con l’IA, non possono implementarla completamente senza distruggere la parte più preziosa della loro attività“.
Un tweet pesante che lasciando da parte le “frasi in libertà” pronunciate nelle ultime settimane anche da soggetti con scarsa voce in capitolo, non può non lasciare il segno.

Buchheit è evidentemente ben consapevole che Google sta attivamente lavorando a una sorta di suo ChatGPT: stando a quanto affermato da Demis Hassabis (DeepMind) si chiamerà Sparrow e potrebbe essere la risposta alla decisione di Microsoft di integrare ChatGPT nel suo motore di ricerca Bing.

DeepMind è la società di Alphabet-Google che si occupa di ricerca e sviluppo in materia di intelligenza artificiale. Sono tanti i traguardi che nel tempo ha raggiunto DeepMind: l’ultimo del quale abbiamo parlato è il record nella risoluzione del prodotto tra matrici ma le sue intelligenze artificiali hanno battuto ripetutamente i migliori giocatori al mondo di Go, dama, scacchi, poker e sconfitto giocatori umani nella modalità multiplayer del videogioco di strategia StarCraft II.
L’intelligenza artificiale DeepMind ha creato nuovi linguaggi intermedi e fatto compiere importanti passi avanti in ambito medico e scientifico: si pensi agli studi sul ripiegamento delle proteine.

Non è però mai stato presentato un prodotto simile a quello che oggi ChatGPT permette di fare da parte di chiunque.
Entro la primavera 2023 potrebbe quindi debuttare Google Sparrow, un sistema molto simile a ChatGPT che però sarebbe in grado di elaborare informazioni ricevute in tempo reale (le “conoscenze” di ChatGPT sono ferme al 2020) e, ad esempio, citare le fonti.

Hassabis ha dichiarato che il sistema Google in fase di lancio si basa su un modello generativo capace di offrire risposte molto più precise rispetto a ChatGPT anche perché sarà basato sul meccanismo reinforcement learning: l’intelligenza artificiale impara dai suoi errori e migliora le risposte non limitandosi alla singola sessione di chat con uno specifico utente.

Ma torniamo alle dichiarazioni di Buchheit: leggendo tra le righe, l’ex ingegnere della società oggi guidata da Sundar Pichai, non dice che Google non saprà tenere il passo. Più semplicemente sostiene che l’attuale business della società potrebbe essere spazzato via per trasformarsi, sotto la spinta dell’intelligenza artificiale, in qualcosa di molto diverso.

In ottica futura Google potrebbe fornire molte più risposte zero click, ovvero risolvere un’interrogazione dell’utente sul motore di ricerca senza presentare alcun risultato pertinente dal Web.
Già oggi le ricerche zero click sono molto più comuni che in passato: l’utente si ferma alle informazioni restituite dalla prima pagina con i risultati e non approfondisce consultando uno e più siti specifici.
L’adozione di soluzioni spiccatamente basate su modelli generativi potrebbe portare all’estremo questa tendenza disegnando nuovi scenari anche per chi crea e condivide contenuti sul Web.

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