La navigazione in incognito non tutela la privacy: prosegue la class action contro Google

I giudici californiani ammettono le contestazioni mosse dai promotori di una class action multimiliardaria. L'accusa punta il dito contro la modalità di navigazione in incognito di Chrome.

Della modalità di navigazione in incognito offerta dai principali browser Web abbiamo parlato spesso. Si tratta di uno strumento che evita la memorizzazione del contenuto delle pagine Web, della cronologia, della cache, delle password, delle informazioni inserite nei form online, dei cookie e di tutti gli altri dati relativi alla sessione di navigazione. Abbiamo già spiegato quando usare la navigazione in incognito e osservato che, alla chiusura della sua finestra, tutti i dati vengono rimossi e resi inaccessibili.

Durante l’utilizzo della navigazione in incognito, le pagine e le applicazioni Web aperte non possono accedere, ad esempio, al contenuto dei cookie memorizzati nella modalità di funzionamento normale del browser. Inoltre, non si risulterà più “loggati” su alcun sito: sarà come aver ripulito completamente la cache del browser ripartendo da zero. Alcuni browser, come Google Chrome, attivano per default il blocco dei cookie di terze parti in qualsiasi finestra di navigazione in incognito. In questo modo diventa più complesso, per un soggetto remoto, tracciare l’utente nei suoi spostamenti da un sito a un altro.

Abbiamo detto che l’eventuale attivazione dell’opzione per bloccare i cookie di terze parti rende un po’ più complesso seguire gli spostamenti di uno stesso utente da una pagina Web all’altra. La navigazione in incognito, tuttavia, non equivale alla “navigazione anonima” che si ottiene ad esempio soltanto utilizzando strumenti come Tor Browser. Si tratta di uno strumento che evita la memorizzazione in locale delle informazioni sulle attività di navigazione online via via espletate. Poco o nulla può, invece, per preservare l’identità degli utenti e tutelarne la privacy nei confronti di server remoti.

Le applicazioni Web, infatti, possono raccogliere informazioni sugli utenti collegati anche nella modalità di navigazione in incognito e, ad esempio, collegare gli indirizzi IP utilizzati dai client alle precedenti sessioni. Per non parlare del fingerpriting, attività che permette di seguire gli utenti senza neppure usare i cookie.

Google rischia una multa da 5 miliardi di dollari

Con un’azione legale avviata nel 2020 da tre utenti privati (Brown et al v Google LLC, causa 20-03664), diventata poi una class action, Google è accusata di raccogliere dati personali anche quando gli utenti si servono della modalità di navigazione in incognito. I promotori della vertenza contestano a Google una serie di presunte violazioni delle leggi sulla privacy della California e delle norme federali sulle intercettazioni.

Nonostante i tentativi dei legali di Google di far archiviare il caso, a marzo 2021 il giudice Lucy Koh ha osservato che la società “non ha informato gli utenti sul fatto che Google svolge una presunta raccolta di dati mentre l’utente si trova nella modalità di navigazione privata” e ha sentenziato che le tesi accusatorie sono meritevoli di essere prese in considerazione.

L’azienda di Mountain View si è difesa osservando che “ogni volta che si apre una scheda in incognito i siti Web possono essere in grado di raccogliere informazioni sull’attività di navigazione“. Google conferma insomma che “incognito non significa invisibile e che l’attività dell’utente durante la sessione di navigazione può comunque essere esposta ai siti Web visitati così come a qualsiasi servizio di analisi o di advertising gestito da soggetti terzi“.

Il processo nei confronti di Google sulla modalità di navigazione in incognito di Chrome va avanti

Adesso, ad agosto 2023, il giudice Yvonne Gonzalez Rogers ha negato la richiesta di giudizio sommario avanzata da Google e ha sottolineato come i termini sulla privacy di Chrome, la sua politica sulla privacy e le informazioni visualizzate nella schermata iniziale che appare nella modalità di navigazione in incognito di Chrome indicano che l’azienda limita l’archiviazione delle informazioni e che gli utenti possono controllare le informazioni condivise. Per il giudice va appurato se quanto riportato rappresenti di fatto una “promessa esecutiva secondo cui Google non avrebbe raccolto i dati degli utenti durante la navigazione in incognito“.

José Castañeda, un portavoce di Google, ha invece chiarito come la sua azienda specifichi sempre che anche nella modalità di navigazione in incognito siti e applicazioni Web possono comunque raccogliere informazioni sull’attività di navigazione.

Secondo l’accusa, che chiede un risarcimento danni di 5 miliardi di dollari, Google memorizza tutti i dati di navigazione – anche quelli raccolti quando l’utente usa la navigazione in incognito – nello stesso database al fine di esporre annunci pubblicitari personalizzati. Inoltre, i singoli dati possono essere combinati per identificare gli utenti con un’alta probabilità di successo, anche quando un soggetto non risulta loggato ai servizi Google tramite le finestre di navigazione in incognito del browser.

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