Nanometro, unità di misura utilizzata per descrivere le CPU: ecco perché

Processi costruttivi a 10 nm e 7 nm: cosa significa nel caso della produzione dei moderni processori.

I moderni processori sono formati da miliardi di transistor ad effetto di campo (sigla FET): essi sono composti da un substrato di silicio, materiale semiconduttore, sul quale sono applicati quattro terminali: gate, source, drain e bulk.
Il transistor a effetto di campo si basa sulla possibilità di controllare la conduttività elettrica del dispositivo e quindi la corrente elettrica che lo attraversa. Di più piccole dimensioni sono i transistor, minore è il loro consumo energetico.

Il valore espresso in nanometri (simbolo nm) indica la dimensione media del gate di ciascun transistor usato nel processore.
Per avere un’idea del grado di miniaturizzazione verso il quale si è spinta l’industria e in particolare i produttori di semiconduttori, basti pensare che un capello equivale a circa 80.000 nm, il virus dell’HIV a circa 120 nm.

La miniaturizzazione porta a notevoli risparmi (con un solo wafer di silicio si possono produrre più processori), alla già citata riduzione dei consumi energetici, delle temperature operative e alla possibilità di inserire – in un unico chip – molti più transistor così da aumentare significativamente la potenza della CPU.
Più è contenuto il valore in nanometri del processo costruttivo di ciascuna CPU, più transistor si avranno per unità di superficie e maggiore sarà, in generale, la frequenza di clock alla quale si potrà spingere il processore stesso.


Intel lancerà sul mercato i primi processori a 10 nm entro fine 2019 (Intel porterà al debutto i suoi nuovi processori Ice Lake a 10 nm entro fine 2019) mentre la taiwanese TSMC è già impegnata nella produzione a 7 nm: TSMC: i maggiori profitti arrivano già dalla produzione di chip a 7 nm, anche per i clienti del calibro di AMD, NVidia ed Apple (il SoC A12X Bionic è un esempio: Apple A12 Bionic: la struttura del processore dei nuovi iPhone).

Le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi“, recita la prima legge di Moore. Partorita da Gordon Moore, cofondatore di Intel con Robert Noyce, nel 1965, non è una vera e propria legge ma un’osservazione empirica che per anni, da allora, divenne un punto di riferimento e un traguardo al quale ambire.
L’accantonamento della legge di Moore non era stato mai ufficializzato: solo nel 2016 la rivista Nature ne celebrò di fatto “il pensionamento”: La legge di Moore è ancora valida? Nature ne celebra la fine.

Nel corso degli ultimi anni la tecnologia basata sull’uso del silicio aveva raggiunto limiti fisici oltre i quali era pressoché impossibile spingersi. Intel e le altre aziende non hanno quindi più di fatto rispettato la legge di Moore. Proseguendo pervicacemente sulla strada della miniaturizzazione, si faceva presente su Nature, non si potranno non fare i conti con effetti quantistici indesiderati.
Eppure più di recente da più parti si sta di fatto provando a riportare in vita, almeno in parte, quanto postulato da Moore ormai più di 50 anni fa. Come? Proviamo a dare qualche informazione in più.

Le CPU sono realizzate ricorrendo a un processo fotolitografico: esso consente di creare sul wafer di silicio le strutture del processore. Perché tutto funzioni è necessario usare un’architettura a strati (layer) con una serie di interconnessioni: Perché i wafer di silicio sono sempre rotondi?.
Laser, luce ultravioletta, raggi X, cannoni di elettroni e cannoni ionici sono gli strumenti che possono essere utilizzati per impressionare la superficie del wafer di silicio, precedentemente pre-trattato.

L’ultima evoluzione è rappresentata dall’utilizzo della litografia ultravioletta estrema (EUV) che consente di produrre chip ancora più compatti a partire dal wafer di silicio: negli stabilimenti le macchine che consentono la produzione di CPU usando EUV sono ancora poche ma sarà questo il futuro, almeno nel breve-medio termine.
Ed è la società olandese ASML a realizzare la maggior parte dei macchinari utilizzati per la produzione dei nuovi chip con tecnologia EUV.


Un chip a 7 nm ha una densità doppia rispetto a uno a 14 nm il che ha permesso ad alcune aziende, ad esempio AMD, di presentare chip per il mercato server a 64 core alzando notevolmente l’asticella: AMD presenta i nuovi processori EPYC 2 e le schede Radeon Instinct MI60 e MI50 a 7 nm.

È però importante evidenziare un aspetto che spesso può sfuggire: il fatto che un processore sia realizzato a 7 nm non implica che sia il doppio più performante rispetto a uno a 14 nm. Le prestazioni non seguono pedissequamente il progresso in termini di miniaturizzazione dei transistor; inoltre, a queste dimensioni l’approccio utilizzato per eseguire le misure può essere leggermente differente portando a scostamenti non da poco.
I processori Ice Lake a 10 nm di Intel dovrebbero quindi competere con le CPU delle stesse categorie e per la stessa tipologia di workload prodotti da TSMC a 7 nm.
Intel, va detto, non ha manifestato in passato l’impellente necessità di passare dai 14 nm ai 10 nm, complice anche la sostanziale assenza della rivale AMD recentemente tornata più agguerrita che mai.

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