Truffatori anche sui social network: Facebook si attiva

Facebook ha avviato alcune azioni legali nei confronti di alcuni soggetti che avevano messo in atto manovre truffaldine ai danni degli utenti registrati al social network.

Facebook ha avviato alcune azioni legali nei confronti di alcuni soggetti che avevano messo in atto manovre truffaldine ai danni degli utenti registrati al social network. Il colosso di Mark Zuckerberg ha chiamato in causa due cittadini americani, uno di New York e l’altro di Las Vegas, oltre ad una società di marketing canadese.

Le tre vertenze sono incentrate su alcune offerte “troppo belle per essere vere” che hanno impazzato nei mesi scorsi in alcune pagine legate al social network addirittura promosse dagli utenti più creduloni. Le vittime dei raggiri rilevati da Facebook erano state persuase a pubblicare messaggi commerciali nelle “bacheche” degli amici in modo da avere titolo al ritiro di buoni spesa da 1.000 dollari o dispositivi Apple iPad gratuiti.

Uno dei soggetti citati da Facebook aveva allestito dei falsi pulsanti “Non mi piace” che reindirizzavano gli utenti-vittima verso tutta una serie di siti web a carattere commerciale. Grazie ad un particolare meccanismo automatico di remunerazione, al presunto truffatore veniva assegnata una contropartita economica per tutto il traffico veicolato su tali siti.

Secondo i portavoce di Facebook, l’altro cittadino americano chiamato in giudizio si sarebbe arricchito per circa 170.000 dollari utilizzando un cliché molto simile. Tale somma di denaro, infatti, sarebbe stata accumulata richiamando con un’esca più di 338.000 utenti del social network su alcuni siti web a carattere spiccatamente commerciale.

In passato i vertici di Facebook avevano deciso di intentare cause contro gli spammer ma è la prima volta che la società si muove anche nei confronti di un’azienda che si occupa di marketing online.

Frattanto, negli Stati Uniti sembra sia stata avviata una “class action” nei confronti del videogioco “Facebook-based” FarmVille e Zynga, società produttrice. L’accusa è quella di aver raccolto dati personali in modo un po’ troppo spregiudicato (ved. questa notizia) con lo scopo di girarli ad aziende specializzate.

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