Bill Gates: Linux non è una minaccia per Windows. Era il 1999

Nel 1999 Bill Gates sottovalutava Linux, considerandolo frammentato e marginale rispetto a Windows. Oggi, Linux domina server, cloud e supercomputer, diventando il tessuto invisibile dell’infrastruttura digitale moderna.

Nel marzo 1999, Bill Gates, allora CEO di Microsoft, dichiarava con sicurezza che Linux non avrebbe rappresentato alcuna minaccia per Windows. Durante la promozione del suo libro “Business alla velocità del pensiero“, Gates sosteneva che il pinguino soffriva della mancanza di un “punto centrale di controllo” e della frammentazione tra le varie versioni (leggasi, “distribuzioni”), mentre Windows offriva una gamma completa di funzionalità, interfacce grafiche e driver di dispositivi, rendendolo insostituibile nel mercato commerciale.

All’epoca, GNU/Linux era ancora largamente percepito come un sistema operativo per “smanettoni”: l’installazione e la configurazione richiedevano competenze tecniche avanzate, soprattutto per quanto riguardava il supporto hardware come GPU, schede di rete e periferiche. Configurare Xorg o i driver era un processo manuale lungo e complicato, mentre Windows forniva strumenti di gestione centralizzati come Active Directory (AD) e le Policy di gruppo, indispensabili per grandi organizzazioni.

Gates relegava Linux a un ruolo marginale, confinato al mondo degli studenti e degli appassionati. “Linux non sarà mai una minaccia per Windows“, affermò in modo categorico. A distanza di 26 anni è curioso rileggere quelle dichiarazioni e non è possibile non riflettere su quanto il panorama informatico sia radicalmente cambiato.

Linux nel mercato Desktop e Server

Nonostante la dichiarazione di Gates, Linux aveva già una solida presenza nei server a fine anni ’90, specialmente nel mondo dei data center e dei servizi Web, dove le combinazioni LAMP (Linux, Apache, MySQL, PHP) già dominavano il panorama tecnologico.

Come parziale “attenuante”, va detto che il commento di Gates era incentrato esclusivamente sul contesto del desktop per un’utenza generica. Già ai tempi, infatti, non rifletteva la realtà server e infrastrutturale, dove Linux stava già conquistando quote significative.

Gates è noto per molte dichiarazioni “visionarie” (in senso positivo) sul futuro dell’informatica e dell’IT. Ma è noto anche per alcuni errori e sottovalutazioni: come ad esempio non aver compreso la portata del lancio del primo iPhone, di iOS e poi di Android. Le dichiarazioni d’annata su Linux dimostrano che il vento del cambiamento non era stato ancora avvertito.

Lato server e sul cloud, Linux non ha rivali: si calcola che oggi quasi l’80% dei server Web visibili su Internet sia alimentato dal pinguino; nel cloud computing realtà come AWS ospitano l’83,5% delle istanze EC2 su Linux; su Google Cloud il dato sale al 92% circa per le VM costruite su Linux e Microsoft Azure (!) conta il 62% di macchine virtuali basate su Linux (dati Statista).

Anzi, è proprio la piattaforma Azure che ha fatto sbocciare l’interesse di Microsoft per Linux (sapete che esiste anche una distribuzione Microsoft Linux?), portando l’azienda di Redmond a investire sull’open source e a sedersi al tavolo della Linux Foundation come membro “Platinum“.

Linux come standard de facto per infrastrutture cloud e hosting

Una quota pari a circa il 50% dei “workload cloud totali” è su Linux (dato 2025, fonte: SQ Magazine) segnala la metà delle elaborazioni girano su server o VM Linux. Con varie tipologie di servizi: VM tradizionali, container, microservizi, storage, backend di applicazioni web, servizi API, e così via.

Il fatto che la maggior parte dei Web server e delle infrastrutture di hosting usi Linux evidenzia il fatto che Linux è diventato il “tessuto connettivo” invisibile dell’Internet moderna.

Provider come AWS, Azure, Google Cloud offrono macchine virtuali Linux come default o con percentuali molto alte: questo dà loro flessibilità, riduce il costo delle licenze, e consente personalizzazioni profonde (kernel compatti, tuning per container, supporto hardware specifico, strumenti di orchestrazione).

Per le aziende che migrano al cloud o adottano modelli “cloud‑native”, Linux rappresenta la scelta più economica, scalabile e potente: per VM tradizionali, per i container, per configurazioni serverless, microservizi, workload AI/ML, storage distribuito.

Linux vince anche nelle infrastrutture critiche

Il dato che il 100% dei supercomputer della classifica TOP 500 poggi su Linux non è irrilevante: evidenzia che quando servono prestazioni massime, stabilità, controllo hardware e massima efficienza, Linux domina. Lo stesso vale per backend aziendali, applicazioni mission-critical, architetture distribuite e servizi cloud backbone.

In questi contesti la “leggerezza” di Linux, unita all’approccio aperto, alla modularità, compatibilità con container/virtualizzazione e alle ampie possibilità di personalizzazione, lo rendono praticamente insostituibile.

Linux: dalla nicchia al cloud, il doppio volto del sistema operativo

Linux non è mai stato un concorrente diretto di Windows sul desktop, ma il suo vero dominio si è affermato dietro le quinte, nei server, nei data center e nel cloud. I numeri lo confermano, come abbiamo visto.

In ambito desktop sono molteplici i motivi per cui Linux non è (ancora) decollato. Tuttavia, proprio nel 2025, Linux desktop ha iniziato a far registrare percentuali di utilizzo molto più elevate che in passato (5-6% sia in Europa che negli USA).

Con la fine dell’era di sistemi operativi come Windows 10, molti PC non idonei all’aggiornamento a Windows 11 finiscono per diventare obsoleti e così una fetta rilevante di utenti, anche sotto la spinta di progetti come Endof10, ha iniziato a valutare la migrazione lato desktop. L’addio al supporto per Windows 10 (poi prorogato grazie a ESU, Extended Security Updates, anche per gli utenti privati), ha generato un’infinità di commenti, tra verità e falsi miti sul passaggio da Windows a Linux. In un altro articolo vediamo anche, più nello specifico, cosa cambia da Windows a Linux.

Un salvataggio in corner

Con la sua voce inconfondibile, ci sembra quasi di sentire Gates affermare, con un salvataggio in corner: “beh, in realtà un po’ di ragione ce l’avevo“. Sì perché fu lo stesso Linus Torvalds a parlare di frammentazione come aspetto che ha influito negativamente sulla diffusione di Linux su desktop.

Nel frattempo, Gates e Torvalds sono andati a cena insieme (è successo, per la prima volta a giugno 2025). E Mark Russinovich, altro veterano di Microsoft, ha dichiarato: “non è stata presa alcuna decisione sul kernel, ma magari alla prossima cena…”. Lasciando aperte speculazioni interessanti.

Al di là delle battute, infatti, il kernel Linux potrebbe evolvere in alcune aree chiave per migliorare il funzionamento su Azure e, più in generale, sui cloud hyperscaler. Il driver RAMDAX sviluppato da Microsoft per Linux 6.19 va proprio in questa direzione.

Migrazione da Windows a Linux: fattibilità, vantaggi e consapevolezza

Come abbiamo evidenziato negli articoli citati al paragrafo precedente, la migrazione da Windows a Linux in ambito professionale è fattibile, ma richiede pianificazione, competenze e consapevolezza. Negli uffici e lato workstation, il passaggio è spesso ostacolato da software proprietario specifico (ERP, CRM, CAD, gestionali contabili o applicazioni industriali e mediche) che potrebbe non avere equivalenti diretti su Linux.

Le soluzioni possibili includono virtualizzazione, strumenti come Wine, Proton, WinApps o WinBoat, oppure la sostituzione con software open source, con conseguente riorganizzazione dei processi aziendali. Anche l’integrazione con infrastrutture esistenti, come Active Directory, servizi di rete, stampanti condivise e VPN, richiede configurazioni accurate e test approfonditi.

Parallelamente, gli utenti devono acquisire familiarità con un nuovo approccio alla gestione del sistema: pacchetti, permessi e personalizzazione desktop richiedono formazione e pratica.

Nonostante le distribuzioni Linux siano sempre più user-friendly, senza preparazione interna possono emergere resistenze o inefficienze. La complessità della migrazione dipende quindi da software, infrastrutture e livello di preparazione degli utenti; con un’analisi accurata e un percorso di test e formazione, anche ambienti professionali complessi possono migrare con successo, sfruttando la stabilità, la sicurezza e la flessibilità di Linux.

La scelta deve essere consapevole: Linux domina server, cloud e dispositivi embedded, ma sul desktop ha impiegato decenni per iniziare a guadagnare terreno. La libertà di valutare esigenze, compatibilità software, infrastrutture e impatti organizzativi è essenziale. Solo una decisione ponderata, basata su conoscenza e consapevolezza, può garantire una transizione efficace, riducendo rischi e sorprese, lontano dalle semplificazioni e dalle “urla da stadio” di chi parla senza considerare il contesto reale.

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