Sedici anni fa, Matthew Prince e Michelle Zatlyn, compagni di studi alla Harvard Business School, decisero di trasformare un progetto open source in un’impresa capace non solo di monitorare gli attacchi informatici, ma di fermarli. Quella piccola idea diede vita a Cloudflare, oggi uno dei principali attori globali nella sicurezza informatica e nella distribuzione dei contenuti, con una capitalizzazione di mercato di circa 70 miliardi di dollari. Prince stesso è uno dei protagonisti assoluti della scena digitale, con un patrimonio stimato di 6 miliardi.
Ma se oggi ci si aspetterebbe che Prince parlasse di innovazione e crescita aziendale, la sua attenzione è rivolta a un problema molto più antico: salvare il World Wide Web e il giornalismo online minacciati dall’avanzata dei modelli AI.
L’impatto dei chatbot AI sull’editoria online
Negli ultimi due anni, l’ascesa delle soluzioni basate sull’AI ha messo in discussione il tradizionale modello economico dei siti Web, soprattutto quelli di informazione. Tradizionalmente, i motori di ricerca come Google indicizzavano i siti, generando traffico e contribuendo a massimizzare i ricavi pubblicitari.
Ora, invece, strumenti come AI Overview forniscono risposte dirette agli utenti, con un’esperienza “zero-click” che rimuove gran parte del flusso economico che sosteneva editori e giornalisti.
Alcuni dati recenti mostrano che ottenere traffico da un’AI può essere fino a 750 volte più difficile rispetto al “vecchio” Google, con casi estremi come Anthropic fino a 37.000 volte più complesso.
I chatbot AI aumentano anche i costi operativi: Wikipedia ha segnalato un aumento del 50% della banda utilizzata, per via del traffico generato dai bot. Google, per competere con le proposte della concorrenza, implementa il suo chatbot Gemini ovunque possibile, riducendo ulteriormente il traffico destinato ai siti Web.
Pay-per-crawl: la proposta di Cloudflare
La soluzione di Prince – ne parla in un’intervista rilasciata a Crazy, Stupid, Tech – si chiama pay-per-crawl, un sistema che permette agli editori di monetizzare l’accesso dei modelli AI ai loro contenuti.
Funziona così: Cloudflare può bloccare o permettere l’accesso ai bot, creando una leva negoziale per far pagare le aziende AI per i contenuti, similmente a come la musica e il cinema hanno regolamentato il consumo digitale. L’obiettivo non è solo sostituire i ricavi pubblicitari, ma creare un nuovo modello economico sostenibile che incentivi la produzione di contenuti di qualità.
Prince spiega: “in futuro vincerà chi possiede il contenuto migliore. (…) I sistemi AI dovranno pagare per accedere ai contenuti originali”.
Nonostante le quote di mercato di Cloudflare (si pensi all’enorme mole di siti Web che usano il servizio di proxying gratuito…), Prince ammette che la vera chiave è Google, data la sua posizione dominante nel mercato della ricerca e dell’AI. Senza il suo benestare, altre aziende AI potrebbero essere riluttanti a pagare gli editori.
Inoltre, resta da definire un sistema di pricing equo, considerando la varietà e il valore dei contenuti su scala globale. Prince suggerisce anche l’uso futuro di blockchain e criptovalute per gestire i pagamenti internazionali in maniera efficiente.
L’obiettivo finale è creare un ambiente in cui il valore della conoscenza non sia disperso in silos digitali; deve essere necessariamente premiata la creazione di contenuti autentici e di qualità.
Quanto è influente Cloudflare
La piattaforma Cloudflare, con il 20% dei siti Web mondiali tra i suoi clienti, non è solo uno strumento tecnico. Ambisce a divenire una leva strategica per il futuro del Web.
La capacità di bloccare bot e gestire contenuti rende l’azienda un attore imprescindibile nel panorama digitale, capace di influenzare l’evoluzione dell’ecosistema AI e della distribuzione dell’informazione online.
Prince riassume così la sua visione: “se Internet smettesse di funzionare, anche Cloudflare cesserebbe di esistere. Quindi c’è anche un nostro interesse commerciale. Ma più di tutto, è una questione di salvaguardia della conoscenza condivisa e del giornalismo. Non possiamo permettere che fenomeni di polarizzazione e la creazione di silos informativi ci separino ulteriormente”.
Il CEO di Cloudflare, insomma, vuole dire che non è possibile accettare di ricevere informazioni solo da fonti che confermano le proprie opinioni, rafforzando le proprie convinzioni e creando divisioni culturali, politiche o sociali. Il riferimento diretto è proprio ai chatbot AI e ai sottostanti modelli che secondo Prince tendono a creare silos informativi ovvero contenitori chiusi di conoscenza. Se le grandi aziende impegnate nel settore AI diventano i principali distributori di contenuti, potrebbero trattenere i dati, fornendo solo versioni sintetiche agli utenti e “privatizzare” l’informazione. Il pubblico non ha più accesso diretto alle fonti originali, perdendo trasparenza e controllo sul flusso di conoscenza.
Matthew Prince e la tesi pionieristica che anticipava motori di ricerca e AI
Quando era ancora studente accademico, Prince scrisse una tesi incentrata sul potenziale bias politico dei motori di ricerca. Era il 1996, prima ancora che Google nascesse (il motore di ricerca di Larry Page e Sergey Brin fu fondato nel 1998). Prince aveva già intuito che i motori di ricerca non erano strumenti neutrali, ma sistemi influenzati da scelte politiche e culturali.
La sua tesi esplorava come i motori di ricerca potessero riflettere e amplificare determinati punti di vista politici, selezionando e presentando informazioni in modi che potessero favorire certi gruppi o ideologie. Prince sosteneva che la struttura e gli algoritmi dei motori di ricerca potessero influenzare l’accesso all’informazione, creando una sorta di filtro che determinava quali contenuti fossero più visibili e accessibili agli utenti.
Oggi, con l’evoluzione dei motori di ricerca e l’emergere di nuove tecnologie come l’AI, le preoccupazioni di Prince sono più attuali che mai.