Facebook non è gratuito: l'obolo che si paga consiste nella condivisione dei propri dati

Il Consiglio di Stato ratifica le sanzioni irrogate a suo tempo a Facebook dall'Antitrust italiana. L'azienda non può più usare il termine "gratuito" per presentare e riferirsi ai suoi servizi.

Il Consiglio di Stato ribadisce ciò che era palese ormai da tempo ma soprattutto intima a Facebook di non utilizzare più il termine gratuito in relazione ai servizi offerti.

Nel 2018 l’Antitrust italiana aveva deciso di sanzionare il comportamento di Facebook che appunto presentava come gratuito l’utilizzo del social network.
L’AGCM rilevava infatti come Facebook abbia utilizzato per anni lo slogan “È gratis e lo sarà per sempre” per spronare gli utenti alla registrazione sulla piattaforma.

In realtà “le evidenze istruttorie hanno confermato (…) il meccanismo che comporta la trasmissione dei dati degli utenti dalla Piattaforma (sito web/app) del social network ai siti web/app di terzi e viceversa con modalità insistenti e tali da condizionare le scelte del consumatore riguardo la suddetta trasmissione“, osservava l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato valutando come scorretta, ai sensi del Codice del Consumo, la pratica commerciale posta in essere da Facebook e irrogando una sanzione complessiva pari a 10 milioni di euro.

La decisione dell’AGCM è stata successivamente impugnata da Facebook che aveva presentato un ricorso presso il TAR del Lazio.
I giudici del Tribunale Amministrativo si sono tuttavia appena espressi avallando le valutazioni di AGCM e ribadendo che Facebook non ha titolo per sostenere di essere un servizio totalmente gratuito.

La sentenza non solo conferma l’ingannevolezza del messaggio diffuso dall’azienda fondata da Mark Zuckerberg, convalidando così la piena sanzionabilità del comportamento ingannevole di Facebook, ma di fatto stabilisce che “lo sfruttamento dei dati personali per finalità commerciali comporta, inevitabilmente, l’applicazione della normativa europea in ambito di protezione dei dati personali e quindi il GDPR, oltre alla disciplina attinente al diritto del consumatore“, come spiega l’avvocato Andrea Lisi, presidente di Anorc Professioni.

La decisione “odierna” pone una vera e propria pietra miliare ma come spiega il legale restano ancora sul tavolo diverse questioni: “un trattamento di dati personali può essere corrispettivo di un servizio? Quali garanzie il fornitore dovrebbe rilasciare agli utenti? Come garantire i minori?

Informative corrette e trasparenti consentono ad esempio di capire come vengono usate e dove sono memorizzate le informazioni personali che vengono corrisposte sui vari servizi online.
L’incidente Cambridge Analytica aprì il vaso di Pandora (Facebook e Cambridge Analytica: cosa ha insegnato lo scandalo in tema di tutela della privacy) ma oggi più che mai è importante giungere a una maggiore consapevolezza sul rilievo giuridico-economico che scaturisce dall’adesione alle condizioni generali di contratto proposte dalle varie piattaforme online.

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