Ubuntu, a distanza di più di 20 anni dalla sua nascita, rimane una delle distribuzioni Linux più diffuse e influenti. Tuttavia, nel 2025, il suo ruolo all’interno dell’ecosistema open source è oggetto di dibattito: c’è chi considera Ubuntu un pilastro indispensabile per l’adozione di Linux da parte dei nuovi utenti e chi invece accusa la distribuzione di aver tradito lo spirito originario del software libero, avvicinandosi troppo a logiche aziendali di tipo proprietario.
Eredità e ruolo storico di Ubuntu
Lanciato da Canonical nel 2004, Ubuntu è nato con una missione chiara: rendere Linux accessibile a chiunque, semplificando l’installazione, la gestione del sistema e la compatibilità hardware.
Per anni è stato sinonimo di “Linux facile” (non per nulla il nome Ubuntu può essere tradotto con “umanità verso gli altri“, a sottolineare la volontà di essere una “distribuzione Linux umana”), diventando la base di innumerevoli distro derivate (tra cui Linux Mint, Pop!_OS e Zorin OS) e una scelta quasi obbligata per chi voleva abbandonare Windows senza trovarsi di fronte a un muro tecnico.
Ubuntu ha anche contribuito a rendere Linux competitivo in ambiti prima dominati da Microsoft, come il cloud e i server aziendali, grazie a strumenti come Landscape, MAAS e al supporto LTS (Long Term Support) che garantisce 5 anni di aggiornamenti di sicurezza.
La stabilità, unita all’ampia documentazione e alla disponibilità di pacchetti precompilati, ha consolidato la fiducia di imprese e sviluppatori.
Landscape e MAAS: strumenti chiave per server e infrastrutture
Oltre alla stabilità e alla compatibilità, Ubuntu si distingue anche per gli strumenti professionali sviluppati da Canonical. Sono tool utili ai fini della gestione di sistemi e infrastrutture complesse.
La già citata Landscape è una piattaforma di gestione centralizzata per sistemi Ubuntu. Rivolta principalmente ad aziende e organizzazioni con molti server o workstation, consente di:
- Monitorare lo stato di salute dei sistemi (CPU, memoria, spazio disco, aggiornamenti).
- Gestire aggiornamenti software e patch di sicurezza in maniera centralizzata.
- Automatizzare attività di manutenzione, scripting e configurazioni su più macchine contemporaneamente.
- Generare report dettagliati per conformità e auditing.
Landscape permette agli amministratori di sistema di avere un controllo completo sull’infrastruttura Ubuntu, riducendo il rischio di errori manuali e aumentando la sicurezza, soprattutto in contesti business. È disponibile sia in versione cloud (come servizio gestito da Canonical) sia on-premises.
MAAS (Metal as a Service)
MAAS è uno strumento dedicato al provisioning automatizzato di server fisici. A differenza della virtualizzazione o del cloud pubblico, MAAS consente di trasformare un insieme di server “nudi” in una infrastruttura pronta all’uso, installando Ubuntu in modo completamente automatico e configurabile. Le funzionalità principali includono:
- Rilevamento automatico dei server collegati alla rete e inventario hardware dettagliato.
- Installazione rapida di Ubuntu su più macchine fisiche contemporaneamente.
- Integrazione con strumenti di orchestrazione come Juju per distribuire servizi complessi in modo automatizzato.
- Supporto per ambienti ibridi, dove macchine fisiche e virtuali coesistono nella stessa infrastruttura.
MAAS si rivolge a data center, cloud privati e laboratori di test, permettendo alle imprese di scalare l’infrastruttura senza interventi manuali su ciascun server.
Le controversie: Snap, controllo e scelte aziendali
Gran parte delle critiche rivolte verso Ubuntu ruota intorno a Snap, il sistema di pacchettizzazione introdotto da Canonical nel 2016.
Snap mira a semplificare la distribuzione di software cross-distro, garantendo sandboxing, aggiornamenti automatici e versioni isolate dei pacchetti. Tuttavia, la gestione centralizzata tramite lo Snap Store — servizio proprietario di Canonical — è percepita da molti come una deviazione rispetto ai principi dell’open source.
A differenza di Flatpak, che utilizza un’infrastruttura completamente aperta e decentralizzata, del quale abbiamo ampiamente parlato anche nell’articolo su Linux Mint (integra Flatpak nativamente pur senza imporlo), Snap impone un legame stretto con l’ecosistema Canonical. Ciò ha sollevato preoccupazioni sulla libertà dell’utente e sulla sostenibilità futura in caso di cambi di visione a livello aziendale.
Alla questione della gestione dei pacchetti con Snap, si aggiungono altri elementi di attrito:
- La chiusura di alcuni componenti backend e la mancata trasparenza su determinate scelte progettuali.
- L’abbandono di progetti come Unity e Mir, che hanno segnato momenti di frammentazione nella comunità.
- La percezione che Canonical stia cercando di “controllare” l’esperienza Ubuntu in modo simile a quanto Microsoft fa con Windows.
Nonostante ciò, Ubuntu continua a essere la base di gran parte delle infrastrutture cloud moderne (incluso Azure), e questo ne garantisce una solidità tecnica indiscutibile.
Ubuntu come punto di ingresso e piattaforma di produttività
Sul piano pratico, Ubuntu resta uno dei sistemi operativi più stabili e produttivi per l’uso quotidiano, soprattutto nella versione LTS. Per sviluppatori, amministratori di sistema e data scientist, Ubuntu offre una compatibilità eccellente con Docker, Kubernetes e ambienti virtualizzati; un’integrazione nativa con WSL 2 (Windows Subsystem for Linux), che consente di eseguire Ubuntu su Windows con un semplice comando; il supporto nativo per driver NVIDIA, AMD e per le piattaforme ARM.
La facilità di gestione tramite apt
e la disponibilità di strumenti grafici maturi (Software Center, GNOME Tweaks, Ubuntu Software) rendono il sistema adatto sia a utenti principianti che a professionisti. Inoltre, la stabilità del kernel e l’adozione del file system ZFS come opzione anche a livello di “root” (consente di applicare snapshot, rollback e altre funzionalità di ZFS all’intero sistema operativo, non solo ai dati utente o ai server di storage…), ne fanno un sistema avanzato anche per ambienti di sviluppo e test.
Confronto tecnico e filosofico con Windows
Sul fronte tecnico, Ubuntu si distingue da Windows per il suo modello di gestione delle risorse e della sicurezza. L’architettura basata su permessi granulari e una telemetria ridotta, assicurano privacy e controllo.
È vero che a partire da Ubuntu 18.04 LTS, Canonical ha introdotto il sistema di raccolta dati chiamato “Ubuntu Report”: raccoglie dati anonimi sull’hardware (CPU, RAM, GPU, disco, rete) e sul software installato (pacchetti principali). Sulle versioni LTS, tuttavia, vi è la possibilità di disattivare o abilitare la telemetria in fase d’installazione oppure a posteriori con un comando come sudo ubuntu-report disable
. In Windows, molte funzionalità di telemetria sono attive di default e qualora si volessero disabilitare completamente sono richiesti comandi specifici non documentati, script o utilità “ad hoc”.
Anche la gestione dei processi tramite systemd, la virtualizzazione con b e la containerizzazione integrata rendono Ubuntu un sistema flessibile che va ben oltre le esigenze di un desktop consumer.
Dal punto di vista filosofico, invece, Ubuntu rappresenta un compromesso: una distribuzione open source guidata da un’azienda privata. Così, la distro si colloca un po’ a metà strada tra la libertà comunitaria di Debian e il modello commerciale di Red Hat.
Per molti utenti, è proprio questa dualità — open ma gestito, libero ma pragmatico — a rendere Ubuntu il “ponte” ideale tra il mondo open source e quello enterprise.
Ubuntu nel 2025: solidità, nonostante tutto
Nel 2025 Ubuntu si trova a un bivio. Da un lato, la sua influenza resta imponente: è la distribuzione più documentata, il riferimento per la compatibilità software e la piattaforma su cui si formano migliaia di nuovi utenti Linux. D’altro canto, Canonical deve affrontare il rischio di alienare una parte della comunità qualora dovesse orientarsi per una chiusura di alcuni aspetti del proprio ecosistema.
La distribuzione ha poi avviato una progressiva migrazione da componenti GNU a implementazioni alternative, in particolare scritte in Rust, a partire dalla versione 25.10. Il cambiamento riguarda principalmente le core utilities di sistema, come ls, cp, mv, date, find, diff, e sudo, che sono tradizionalmente fornite dal progetto GNU.
Canonical ha dichiarato che l’obiettivo è migliorare la sicurezza e le prestazioni del sistema. Le implementazioni in Rust (in un altro articolo parliamo di sudo-rs) offrono vantaggi come la sicurezza nella gestione della memoria e una base di codice più moderna e manutenibile. La mossa ha però suscitato preoccupazioni nella comunità open source per diversi motivi: licenza (le implementazioni GNU sono rilasciate sotto GPLv3; le alternative in Rust, come uutils, sono rilasciate sotto la licenza MIT, più permissiva, che consente modifiche senza obbligo di condivisione del codice), compatibilità e stabilità, allontanamento dalla filosofia GNU.
Ubuntu offre un ottimo bilanciamento tra libertà, stabilità e produttività, che pochi altri sistemi sanno eguagliare. La sua evoluzione futura dipenderà tuttavia dalla capacità di Canonical di coniugare sostenibilità economica e rispetto dei principi fondamentali del software libero.