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Nel 2017, con Android 8.0 Oreo, Google annunciava Project Treble come una delle riforme più radicali mai introdotte nel suo sistema operativo mobile. L’obiettivo era chiaro: separare la struttura del sistema operativo Android dal software specifico del produttore (OEM) per permettere aggiornamenti più rapidi, indipendenti e duraturi. Otto anni e otto versioni dopo, nel 2025, ci si chiediamo: che fine ha fatto Project Treble? La promessa è stata mantenuta o è rimasta sulla carta?
Il cuore del problema: aggiornabilità e frammentazione di Android
Come spiegavamo nell’articolo sul miglioramento degli aggiornamenti di Android, Project Treble introduceva un’architettura modulare con un’interfaccia vendor standardizzata (VINTF), separando il framework Android dal codice legato all’hardware.
L’approccio proposto da Google avrebbe dovuto ridurre la dipendenza dagli OEM per gli aggiornamenti, consentendo alla società fondata da Larry Page e Sergey Brin (e potenzialmente anche ad altri attori) di aggiornare il sistema operativo senza dover attendere che ogni singolo produttore adattasse i propri driver. In teoria, ciò avrebbe dovuto ridurre significativamente la frammentazione di Android, uno dei suoi mali storici.
Nonostante il supporto per Project Treble sia oggi obbligatorio per tutti i dispositivi lanciati con Android 9 o superiore, l’effetto pratico per gli utenti non è stato così rivoluzionario come promesso. La realtà è più sfumata.
Perché non vediamo l’effetto Project Treble nelle ROM personalizzate di Android?
Una delle domande ricorrenti tra gli utenti più esperti (e appassionati di modding) è: se tutto è Treble-compliant, perché le custom ROM sono ancora “cucite su misura” per ogni dispositivo?
La risposta è semplice ma significativa: Project Treble non è stato progettato per agevolare il modding, bensì per facilitare e accelerare il processo di aggiornamento ufficiale da parte di OEM e operatori. Le Generic System Images (GSI) di Google, che rappresentano il sistema operativo Android “pulito” compatibile con dispositivi Project Treble, sono bootabili su molti dispositivi, ma:
- non sono ottimizzate per l’hardware specifico;
- mancano di driver e ottimizzazioni OEM (come fotocamera, audio, sensori);
- spesso non offrono la stessa esperienza d’uso di una ROM ufficiale.
In parole povere, è come installare una versione generica di Windows su un laptop senza driver: funziona, ma male.
GSI e il mito dell’equivalente del “clean install” di Windows
Molti utenti continuano a chiedersi perché non esista una “ISO ufficiale” Android che si possa installare su qualsiasi dispositivo, come avviene con Windows. La risposta sta in una differenza architetturale e storica fondamentale:
- I PC sono progettati con BIOS/UEFI standardizzati e driver generici da decenni.
- Gli smartphone, al contrario, sono dispositivi embedded con firmware proprietari e strettamente legati all’hardware specifico.
- Senza i blob binari OEM (driver closed-source), un dispositivo Android non può utilizzare correttamente le sue funzioni base, anche se può tecnicamente avviare un sistema GSI.
Cosa ha davvero ottenuto Project Treble?
Nonostante le aspettative degli appassionati, Project Treble non è un fallimento. Al contrario, ha ottenuto diversi risultati concreti.
Innanzi tutto, la riduzione dei tempi di aggiornamento per i dispositivi supportati: molti OEM oggi rilasciano aggiornamenti mensili e major version più rapidamente rispetto a quanto succedeva prima del 2017.
Con Project Treble si è inoltre registrata una certa standardizzazione della base di compatibilità tra framework Android e implementazioni dei singoli produttori, preparando il terreno per ulteriori modularizzazioni.
Da non dimenticare, inoltre, che i dispositivi come quelli della gamma Pixel ricevono aggiornamenti per 7 anni anche grazie alla base modulare fornita da Project Treble.
Limitazioni sistemiche: volontà degli OEM e business model
C’è un altro aspetto spesso trascurato: il business model degli OEM. Gran parte dei produttori Android non hanno interesse a mantenere aggiornati i dispositivi per più di due o tre anni. La mancata adozione pratica di Project Treble e la carenza di GSI ottimizzate derivano non tanto da limiti tecnici, quanto da una assenza di volontà commerciale nel supportare l’aggiornabilità universale.
Un esempio virtuoso è Sony, che fornisce immagini AOSP ufficiali per diversi Xperia, ma persino lì mancano le ottimizzazioni proprietarie per rendere il sistema paragonabile a quello stock.
Project Treble ha fallito?
La risposta è: no, ma ha deluso chi aveva posto l’asticella troppo in alto. Project Treble non era destinato a democratizzare il modding né a creare una piattaforma “universale” come i PC. Era (ed è) un progetto infrastrutturale volto a separare i livelli del sistema operativo per favorire l’aggiornabilità ufficiale e la manutenzione del codice.
Fino al 2025, ha svolto silenziosamente il suo ruolo: ha preparato Android per affrontare nuove sfide di aggiornabilità, sicurezza e modularità. Ma la situazione, sul versante Android, sta diventando più complessa.
La recente evoluzione della strategia Google — con l’esclusione progressiva dei dispositivi Pixel dal rilascio completo e trasparente dei componenti AOSP fondamentali — impone una revisione critica del ruolo e dell’efficacia di Project Treble.
Come abbiamo spiegato nell’articolo citato, vi è una tensione crescente tra la volontà di Google di razionalizzare il codice e semplificare la gestione interna (favorendo ambienti virtualizzati come Cuttlefish) e le esigenze della community open source e degli sviluppatori di custom ROM, che tradizionalmente hanno beneficiato di un AOSP ricco e completo, soprattutto per i dispositivi di riferimento come i Pixel.
Cosa cambia se Google decide di chiudere AOSP
Nello scenario descritto, Project Treble rischia di perdere parte del suo significato originario, perché:
- La separazione chiara tra framework e implementazioni di ciascun vendor, pur utile, non basta se Google non mette più a disposizione i device tree, i driver binari e la cronologia dettagliata del kernel per i dispositivi Pixel, che erano il punto di riferimento per molti sviluppatori.
- La mancanza di questi elementi essenziali obbliga gli sviluppatori a impegnarsi in attività di reverse engineering, con conseguente aumento di complessità, tempi di sviluppo e possibili problemi di compatibilità e sicurezza.
- La scelta di promuovere Cuttlefish come nuovo standard di riferimento AOSP evidenzia come Google stia spostando il focus dallo sviluppo su hardware reale verso ambienti virtuali, riducendo quindi l’importanza del supporto reale per dispositivi fisici, specie per la community.
In sostanza, Project Treble rimane una struttura tecnica valida e innovativa, ma la sua efficacia dipende fortemente dalla disponibilità di un ecosistema aperto e collaborativo che fornisca trasparenza e supporto per l’hardware reale. Con la recente politica Google, questa condizione rischia di venire meno, allontanando potenzialmente la community dal cuore dello sviluppo Android e limitando l’impatto positivo che Project Treble avrebbe potuto avere in termini di customizzazione e aggiornamenti rapidi.
Il passaggio da una piattaforma Android percepita come “aperta” e accessibile verso una più “chiusa” e controllata, non necessariamente tradisce l’open source ma ne riduce drasticamente le possibilità pratiche di sviluppo esterno, soprattutto per i device di punta come i Pixel.