Ian Hickson lascia Google dopo 18 anni sbattendo la porta: ecco perché

Un ex ingegnere Google, Ian Hickson, decide di lasciare l'azienda dopo ben 18 anni di "militanza" attiva. Racconta gli anni d'oro dell'azienda e auspica un radicale cambiamento per il prossimo futuro, puntando platealmente il dito contro Sundar Pichai e l'attuale dirigenza.

Uno degli ingegneri Google di lungo corso, Ian Hickson, ha comunicato di aver lasciato l’azienda dopo 18 anni. In un lungo e accorato post, Hickson ha descritto i periodi più belli in Google, dal 2005 ad oggi, lanciando allo stesso tempo feroci stoccate nei confronti dell’attuale dirigenza e consigliando all’azienda un deciso “cambio di passo”.

L’ingegnere racconta di essere stato “molto fortunato” ad aver vissuto gli albori dell’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin. Racconta che i dirigenti erano sinceri con il personale e veniva incoraggiata la “sperimentazione ambiziosa“. Spiega inoltre che lo “slogan”, vero e proprio mantra, “Don’t be evil” corrispondeva davvero alla visione aziendale.

La frase, spesso oggetto di scherno da parte di terze parti, rifletteva l’idea che Google avrebbe dovuto evitare comportamenti moralmente o eticamente discutibili mentre perseguiva i suoi obiettivi commerciali e tecnologici. L’idea era quello di certificare l’impegno di Google per l’integrità e l’etica in tutte le sue operazioni.

Google criticata troppo spesso, a torto, nei primi anni di attività

Secondo Hickson gran parte delle critiche che Google ha ricevuto su Chrome e Search, in particolare sui presunti conflitti di interessi con gli annunci, erano decisamente fuori luogo. Per non parlare della vertenza legale avviata da un gruppo di editori su Google Libri, che ha visto poi l’azienda di Mountain View dimostrare le sue ragioni in tribunale prevalendo sulla controparte.

Ho visto spesso i difensori della privacy discutere contro le proposte di Google in modi che erano nettamente dannosi per gli utenti. Alcuni di questi conflitti hanno avuto effetti duraturi sul mondo in generale; uno dei più fastidiosi è la prevalenza di inutili avvisi sui cookie con cui dobbiamo districarci oggi“, osserva ancora l’ormai ex ingegnere Google.

I dirigenti Google, continua ancora Hickson, offrivano risposte franche su base settimanale oppure erano trasparenti rispetto alla loro incapacità di farlo (ad esempio per motivi legali o perché alcuni argomenti erano troppo delicati per essere discussi in modo approfondito). Eric Schmidt accompagnava regolarmente l’intera azienda attraverso le discussioni del consiglio di amministrazione.

I successi e i fallimenti dei vari prodotti erano ugualmente presentati, con i successi celebrati e i fallimenti esaminati criticamente con l’obiettivo di imparare lezioni piuttosto che attribuire colpe. “L’azienda aveva una visione chiara e le deviazioni da tale visione erano oggetto di spiegazione“, prosegue Hickson.

L’allontanamento dall’approccio orientato alla massima trasparenza

Hickson racconta che l’idea di Google era quella di fare sempre la cosa giusta per il Web e per gli utenti, anche se ciò poteva essere in contrasto con gli interessi dell’azienda. In generale, l’obiettivo perseguito a valle delle indicazioni di Page, Brin e Schmidt era quello di “fare la cosa giusta“, senza la smania di voler soddisfare immediatamente gli azionisti e guardando quindi ai vantaggi che l’azienda avrebbe ottenuto nel breve e lungo periodo.

Secondo l’ex ingegnere Google, qualcosa è cominciato a cambiare con la decisione di Vic Gundotra di creare dei “silos” all’interno della società. “Gundotra ha cominciato a riservare alcuni edifici solo al team di Google+, un netto allontanamento dalla completa trasparenza interna dei primi anni di Google“, scrive Hickson pur apprezzando la visione, ben delineata, del manager indiano.

E sostiene che il team di Android, frutto di un’acquisizione, non si è mai allineato alla “cultura” di Google: “si concentrava più sull’inseguimento della concorrenza che sulla risoluzione dei problemi reali degli utenti“.

Contestazione aperta nei confronti di Sundar Pichai, CEO di Google

Con il tempo, continua ancora Hickson in un crescendo di toni, “la cultura di Google si è erosa. Le decisioni sono passate dall’essere prese a vantaggio degli utenti, a vantaggio di Google e poi a vantaggio di chiunque prendesse la decisione. La trasparenza è evaporata“. E critica la decisione di licenziare parte del personale Google: “i licenziamenti sono stati un errore (…) causato da un tentativo miope di garantire che il prezzo delle azioni continuasse a crescere di trimestre in trimestre, invece di seguire la vecchia strategia di Google che consisteva nel dare priorità al successo a lungo termine, anche se ciò portava a perdite a breve termine (l’essenza del motto Don’t be evil)“.

Il dito è puntato dritto contro Sundar Pichai, l’attuale CEO di Google, che non avrebbe “interesse nel mantenere le norme culturali dei primi anni di Google“. Inoltre, Pichai – sempre secondo Hickson – mancherebbe di una leadership visionaria.

Hickson sostiene che non è ancora troppo tardi per il “cambio di rotta“, anche se il tempo sta trascorrendo velocemente, e suggerisce di spostare il potere “dall’ufficio del direttore finanziario a qualcuno con una chiara visione a lungo termine su come utilizzare le vaste risorse di Google per offrire valore agli utenti“.

La valutazione di un singolo o una posizione condivisa da altri dipendenti dell’azienda?

Google impiega attualmente più di 100.000 figure e le lamentele di Hickson potrebbero semplicemente riflettere il suo personale punto di vista.

Le osservazioni dell’ingegnere, tuttavia, sono condivise privatamente e pubblicamente sui social media da diverse figure di Google, attuali e “passate”. Alcuni dipendenti esprimono empatia con i sentimenti di Hickson, che non è certo il primo a criticare le decisioni assunte in azienda da quando Page e Brin hanno fatto un passo indietro.

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