Il transistor ha 75 anni: ecco come ha acceso la terza rivoluzione industriale

Il transistor compie 75 anni dal brevetto dell'ottobre 1950. Da semplice semiconduttore a motore della rivoluzione digitale, il transistor ha reso possibile l’evoluzione di computer, chip e intelligenza artificiale.

Nel 1947 fu dimostrato il funzionamento del primo transistor; tuttavia il brevetto statunitense assegnato a John Bardeen, Walter Brattain e William Shockley (Bell Labs) — relativo a un “elemento di circuito a tre elettrodi che utilizza materiali semiconduttori” — fu emesso soltanto il 3 ottobre 1950, 75 anni fa. Quel componente dall’aspetto insignificante sostituì progressivamente le valvole termoioniche (tube) e diede avvio alla terza rivoluzione industriale. Da allora, l’evoluzione dei transistor ha guidato la miniaturizzazione, l’aumento delle prestazioni e l’efficienza energetica, rendendo possibili generazioni di moderni computer, smartphone e infrastrutture cloud.

All’inizio, l’impatto pratico del transistor non fu immediatamente evidente: il dispositivo doveva ancora dimostrare il suo potenziale nella rivoluzione dell’informatica e dell’elettronica. Tuttavia, dal 1950 a oggi, il transistor ha permesso miniaturizzazioni incredibili e avanzamenti senza precedenti nell’informatica e nel software. Ha ampliato le possibilità di elaborazione e creatività, ponendo le basi per tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e il machine learning. Il transistor non è solo un componente elettronico: è il simbolo della trasformazione digitale che ha ridefinito società, economia e scienza.

Cos’è un transistor: definizione tecnica

Un transistor è un dispositivo a semiconduttore con almeno tre terminali, che può operare come amplificatore, interruttore o elemento di controllo di corrente. Le famiglie principali sono:

  • BJT (Bipolar Junction Transistor): dispositivi a giunzione p–n in cui la corrente di collettore è modulata dalla corrente di base.
  • FET (Field-Effect Transistor), e in particolare i MOSFET (Metal–Oxide–Semiconductor FET): dispositivi in cui la tensione applicata al terminale di gate modula la conducibilità di un canale tra source e drain.

Nella moderna elettronica digitale il MOSFET, e la sua composizione complementare (CMOS: pMOS + nMOS), è il costrutto dominante grazie ai suoi bassi consumi statici e alla facilità di integrazione su larga scala.

Il primo esemplare costruito a fine 1947 era un point-contact transistor (transistor a contatto puntiforme) realizzato su germanio, con due sottili punte metalliche che premevano sulla superficie del semiconduttore per creare e modulare il flusso di corrente.

Subito dopo, e in risposta proprio ai limiti pratici del point-contact, Shockley ideò (1948) il transistor a giunzione — BJT — basato su giunzioni p–n e più orientato alla produzione industriale e all’affidabilità.

Cosa fa un transistor in pratica

Il transistor è il mattone fondamentale dell’elettronica. In termini molto semplici, serve a controllare il flusso della corrente elettrica: può bloccarlo, lasciarlo passare o modulare la sua intensità. Tutto ciò avviene in risposta a una tensione applicata al terminale di controllo: il gate, nel caso dei MOSFET. Questo comportamento rende il transistor un interruttore controllabile elettricamente e dalle sue proprietà derivano sia il funzionamento del calcolo digitale sia l’elaborazione analogica dei segnali.

Nel dominio digitale, i transistor sono usati per rappresentare i due stati logici fondamentali — 0 e 1 — ovvero la base del codice binario. Quando un transistor è “spento”, non scorre corrente: il circuito rappresenta uno zero. Quando è “acceso”, la corrente scorre e il circuito rappresenta un uno. Combinando milioni o miliardi di questi interruttori elementari, si costruiscono porte logiche, registri, memorie, unità aritmetiche e interi processori. L’intera logica di calcolo dei computer nasce da transistor che si accendono e si spengono miliardi di volte al secondo.

Durante questa commutazione, il transistor non cambia stato istantaneamente: la transizione comporta il movimento di cariche elettriche attraverso capacità parassite presenti nel dispositivo e nelle interconnessioni del chip. Ogni ciclo di carica e scarica consuma energia e il prodotto tra capacità, tensione al quadrato e frequenza di commutazione definisce la potenza dinamica dissipata. È questa la ragione per cui i processori ad alta frequenza richiedono così tanta energia e anche perché la miniaturizzazione e la riduzione delle tensioni di alimentazione sono diventate cruciali per l’efficienza energetica.

Nel dominio analogico, invece, il transistor non lavora come interruttore ma come amplificatore di segnale. Piccole variazioni di tensione sul gate si traducono in variazioni proporzionali di corrente tra drain e source. Il principio è alla base di circuiti come amplificatori audio, driver di potenza, regolatori di tensione e sensori integrati. Il parametro che quantifica l’efficacia di questa modulazione è la transconduttanza (gm): più è alta, maggiore è la capacità del transistor di amplificare un segnale.

Come si usa un transistor nei chip moderni

Nei chip moderni, il ruolo dei transistor è ormai distribuito in blocchi funzionali altamente specializzati.

Nelle CPU e GPU, la maggior parte dei transistor costituisce la logica di calcolo, organizzata in milioni di porte logiche. Nelle memorie (come SRAM e DRAM), i transistor formano celle capaci di conservare bit di informazione temporaneamente. Nei chip di potenza o nei circuiti analogici integrati, i transistor gestiscono il flusso di energia o amplificano segnali deboli.

In un SoC (System-on-a-Chip) contemporaneo, troviamo transistor ottimizzati per ogni tipo di funzione: alcuni piccolissimi e veloci per la logica, altri più grandi e stabili per la memoria, altri ancora “rinforzati” per sostenere alte correnti nelle operazioni di I/O.

Infine, le tecnologie di integrazione avanzata — si pensi ai chiplet e al packaging 3D — permettono di combinare miliardi di transistor su più strati o su più die collegati tra loro. In questo modo, un moderno processore può contenere oltre 100 miliardi di transistor, ognuno impegnato a compiere una funzione microscopica, ma indispensabile per dare vita a operazioni logiche, calcoli matematici, grafica, intelligenza artificiale e comunicazioni digitali.

I transistor e la legge di Moore

La legge di Moore, formulata da Gordon Moore nel 1965, osserva che il numero di transistor integrabili su un circuito tende a raddoppiare con tempi dell’ordine di pochi anni. Questa previsione ha modellato l’industria dei semiconduttori per decenni e ha spinto investimenti massicci in litografia, materiali e packaging.

La legge non rappresentava una necessità naturale, ma una tabella di marcia tecnologica e industriale: un obiettivo che l’intero ecosistema dei semiconduttori si è imposto di raggiungere, stimolando l’innovazione e riducendo progressivamente i costi per transistor.

Per via di limiti essenzialmente fisici, la legge è parsa progressivamente inapplicabile tanto che Nature la dichiarò morta. Quando le dimensioni dei transistor sono scese sotto i 10 nanometri, gli effetti quantistici — come l’effetto tunnel — e la difficoltà di gestire le dispersioni di corrente hanno reso insostenibile la semplice riduzione geometrica.

In realtà, da più parti si sta cercando di recuperarla e renderla attuale: con l’avvento dei chiplet si parla di una legge di Moore immortale.

L’industria ha trovato nuovi modi per aumentare la densità e le prestazioni complessive senza dover ridurre indefinitamente le dimensioni fisiche dei transistor. Tecnologie come il packaging 3D, i chiplet e l’integrazione eterogenea consentono oggi di combinare più die all’interno dello stesso package, collegandoli con interconnessioni ad altissima velocità. In questo modo, il numero complessivo di transistor utilizzabili in un singolo sistema continua a crescere, anche se non appartengono tutti a un unico pezzo di silicio.

L’idea di una “legge di Moore immortale” nasce proprio da qui: il progresso non è più soltanto una questione di miniaturizzazione, ma di integrazione sistemica. L’aumento della densità logica oggi dipende dalla coesistenza di nodi litografici diversi, dalla verticalizzazione dei transistor (FinFET, GAAFET,…), dalla distribuzione intelligente del calcolo tra chiplet specializzati e dall’uso di interposer ottimizzati per la comunicazione interna. In questa nuova prospettiva, il “raddoppio dei transistor” non è più confinato al singolo chip, ma si estende all’intero sistema, segnando l’evoluzione verso un’era in cui la legge di Moore continua appunto a vivere, ma sotto nuove forme.

Dalla geometria planare al Gate-All-Around

La continua riduzione delle dimensioni dei transistor ha imposto una profonda trasformazione della loro geometria. Con l’avanzare dei nodi tecnologici, mantenere il controllo elettrostatico sul canale e contenere le correnti di dispersione è diventato sempre più difficile. Per questo, l’architettura del transistor è passata da una struttura completamente planare a soluzioni tridimensionali sempre più sofisticate.

  • Planar MOSFET: la struttura storica a strati p e n su superficie planare. Nella struttura originaria, il canale di conduzione si trova sulla superficie del silicio e il gate agisce dall’alto, separato da un sottile strato di ossido. È un design semplice, efficiente e ancora diffuso nei nodi maturi, ma con gravi limitazioni di controllo man mano che la lunghezza del canale scende sotto i 30 nanometri: la tensione applicata al gate non riesce più a confinare completamente i portatori di carica e si manifestano fenomeni come lo short-channel effect e il drain-induced barrier lowering.
  • FinFET: introduce un canale verticale a “pinna” (fin) che offre un controllo del gate su tre lati, migliorando il controllo elettrostatico e riducendo dispersioni. Il campo elettrico del gate controlla la conduzione da più direzioni, migliorando drasticamente il controllo elettrostatico, riducendo le dispersioni di corrente e permettendo un’ulteriore miniaturizzazione senza compromettere le prestazioni. Architettura dominante nei nodi avanzati degli anni 2010 e 2020 (7 e 5 nanometri).
  • GAAFET (Gate-All-Around): il gate avvolge completamente il canale (nanosheet o nanowire), massimizzando il controllo elettrostatico e supportando ulteriori riduzioni dimensionali con migliore controllo della corrente di soglia e dello short-channel effect. I nanosheet offrono la possibilità di modulare le prestazioni modificando la larghezza dei canali, rendendo possibile un’ottimizzazione fine tra velocità e consumo energetico all’interno dello stesso chip.

Queste transizioni architetturali non sono semplici variazioni geometriche: rappresentano un cambiamento notevole nella fisica del dispositivo e nei processi produttivi. Ogni nuova generazione ha richiesto nuovi materiali di gate, ossidi ad alta costante dielettrica (high-k), tecniche di deposizione atomica (ALD) e, soprattutto, avanzamenti radicali nella litografia, culminati nell’uso della EUV (Extreme Ultraviolet Lithography) o la litografia ultravioletta estrema. L’evoluzione dal MOSFET planare al GAAFET segna quindi il passaggio da una miniaturizzazione bidimensionale a una scalabilità tridimensionale, che oggi rappresenta la chiave per proseguire la legge di Moore nel mondo post-nanometrico.

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