In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta progressivamente trasformando il mondo del lavoro, Sam Altman – CEO di OpenAI – lancia un messaggio controintuitivo ma fortemente supportato dai dati: la richiesta globale di software è destinata a crescere di mille volte, e con essa gli stipendi dei programmatori.
Durante la sua partecipazione alla conferenza Capital Framework for Large Banks, organizzata dalla Federal Reserve il 22 luglio 2025, Altman ha delineato uno scenario in cui la crescita della produttività derivante dall’AI non sta sostituendo i programmatori, ma al contrario li rende più centrali – e più richiesti – che mai.
AI come amplificatore di produttività, non come sostituto
“Un programmatore oggi, con il supporto dell’AI, è dieci volte più produttivo rispetto a pochi anni fa”, ha dichiarato Altman, evidenziando come questa nuova efficienza stia spingendo le aziende a moltiplicare gli investimenti in software, non a ridurli.
In un esempio concreto, Altman ha raccontato di aver utilizzato un modello avanzato di OpenAI per automatizzare un complesso sistema domestico: un’attività che, senza AI, avrebbe richiesto giorni di lavoro da parte di uno sviluppatore esperto, ma che l’assistente AI ha portato a termine in appena cinque minuti. Il tutto con un costo computazionale di pochi centesimi.
Questa accelerazione operativa, secondo Altman, non solo rende le applicazioni software economicamente accessibili su scala globale, ma alimenta una spirale positiva: “per questo gli stipendi nella Silicon Valley stanno aumentando a un ritmo estremamente rapido”, ha affermato.
Un nuovo ciclo economico guidato dagli sviluppatori e dall’AI
In un passaggio particolarmente incisivo, Altman ha stimato che ciò che un anno fa costava 10.000 dollari in sviluppo software, oggi può essere prodotto a 10 centesimi. Ma a dispetto di questi risparmi, i programmatori non stanno guadagnando meno. Anzi, secondo le previsioni del numero uno di OpenAI, guadagneranno fino a tre volte di più.
Questa dinamica sfida le narrazioni più diffuse secondo cui l’adozione dell’AI porterebbe a una compressione dei salari o alla sostituzione del lavoro umano. Per Altman, il vero effetto dell’AI nei contesti ad alta specializzazione è un potenziamento, che consente ai professionisti di concentrarsi su attività concettuali, progettuali e strategiche, lasciando alla macchina la codifica ripetitiva e meccanica.
Il futuro della programmazione: meno codice, più architettura
Secondo Altman, il lavoro di sviluppo software sta cambiando in modo strutturale. “Ciò che significa ‘scrivere software’ è stato completamente ridefinito”, ha spiegato. Il futuro del coding non è fatto di milioni di righe di codice scritte a mano, ma di sviluppatori che orchestrano sistemi intelligenti, definiscono l’architettura, valutano le priorità e supervisionano i risultati generati dalle AI.
Mentre professioni come il supporto clienti saranno “completamente eliminate” dall’automazione, la programmazione risulterà radicalmente trasformata ma non certo annientata. Anzi, lo sviluppo software passa a un livello superiore.
L’avvertimento di Altman: attenzione all’eccessiva dipendenza emotiva dall’AI
Pur entusiasta del potenziale dell’intelligenza artificiale, e non potrebbe essere diversamente visto il ruolo di OpenAI come volano dell’innovazione in campo AI, Altman ha lanciato un avvertimento sull’impatto psicologico dell’adozione su vasta scala, in particolare tra le nuove generazioni. Il rischio, secondo lui, è che si sviluppi una dipendenza decisionale dall’AI con le persone che non si sentono più in grado di compiere scelte autonome.
“È pericoloso e dannoso arrivare a pensare che non possiamo prendere decisioni senza consultare un modello generativo”, ha detto. Anche se gli algoritmi offrono spesso consigli migliori di quelli umani, c’è un limite oltre il quale la delega cognitiva rischia di diventare “passività intellettuale”.
Implicazioni per l’industria del software
Le dichiarazioni di Altman arrivano in un momento cruciale per il settore tecnologico, mentre si cerca di comprendere a fondo l’impatto dell’AI sulla forza lavoro. La visione di Altman guarda al quadro generale: in un mondo in cui la domanda cresce esponenzialmente, anche una produttività decuplicata lascia spazio a una fame insaziabile di software.
Il messaggio agli sviluppatori è chiaro: chi saprà adattarsi e sfruttare al meglio l’AI vedrà moltiplicare il valore delle proprie attività sul mercato. In un’economia sempre più dipendente dal software – in ogni settore, dalla sanità alla finanza – saranno proprio i programmatori a guidare la trasformazione.
Aparna Chennapragada, CPO di Microsoft, sottolineava di recente che imparare la programmazione software resta essenziale, a dispetto dell’AI. I moderni modelli generativi, che abbiamo descritto nel nostro articolo sull’intelligenza artificiale spiegata facile, non sostituiscono insomma il ruolo del programmatore umano che deve sempre mantenere le redini ben strette ed essere pienamente consapevole del codice prodotto dall’AI.
Oltretutto, come ci ricorda Leslie Lamport – inventore di LaTeX – programmare non è solo scrivere codice ma pensare astrattamente il funzionamento degli algoritmi prima di svilupparli. I modelli generativi e gli agenti AI hanno il merito di democratizzare lo sviluppo software ma il professionista non deve mai perdere la bussola.
Il concetto di invariante e l’AI
Un invariante è una proprietà logica che rimane vera in ogni stato dell’esecuzione di un programma o algoritmo, dal momento iniziale fino alla fine. In parole semplici: è qualcosa che non cambia mai, indipendentemente da cosa succede all’interno del programma, e che aiuta a dimostrare che il comportamento del programma è corretto.
Quello che Leslie Lamport evidenziava già decenni fa – l’importanza di saper identificare e ragionare su proprietà invarianti per garantire la correttezza di un algoritmo – oggi si rivela non solo una tecnica formale, ma una competenza distintiva per i programmatori umani in un’epoca di automazione avanzata.
Quando programmiamo, vogliamo essere certi che il nostro codice non funzioni solo per un caso o per una manciata di essi, ma in tutti i casi validi. Gli invarianti sono come regole matematiche che ci permettono di dire: “Sì, questo programma funziona sempre, non solo nei test”. Gli invarianti sono l’elemento chiave di queste dimostrazioni.
Un assistente o copilota AI può generare una funzione che sembra comportarsi correttamente. Ma spesso non può garantire logicamente che non ci siano errori in condizioni limite, l’algoritmo si comporti bene con dati imprevisti, venga rispettata una specifica precisa. Solo un invariante, scelto e compreso da un essere umano, può offrire questa sicurezza.