L’ombra di un nuovo rincaro si allunga sul 2026 del mercato tecnologico italiano. Nelle prossime ore, una firma del Ministro della Cultura potrebbe sancire un aggiornamento delle tariffe per il compenso per copia privata (storicamente noto come “equo compenso”), trasformando l’acquisto di ogni supporto di memoria in un investimento sensibilmente più oneroso rispetto a oggi. Non si tratta di piccoli arrotondamenti: per molti segmenti chiave, parliamo di incrementi a doppia cifra che colpiranno trasversalmente consumatori, professionisti e l’intero ecosistema delle imprese ICT. Tutto noto e previsto da bozza già pubblicata da mesi, ma nulla che non sia stato oggetto di pesante critica per molti motivi
Il cuore del rincaro: SSD e Hard Disk sotto scacco
Se negli anni passati il prelievo era avvertito come un fastidio marginale, le nuove tabelle proposte nella bozza ministeriale delineano uno scenario critico per chiunque operi con grandi moli di dati. Il focus principale degli aumenti riguarda proprio i supporti di archiviazione di massa.
Per gli Hard Disk (HDD) e i Solid State Drive (SSD), la progressione dei costi è netta. Se fino ad oggi il tetto massimo per le unità sopra i 2 TB era fissato a 18 euro, la nuova soglia salirà a 21,02 euro (+16,8%). Una cifra che, se moltiplicata per le unità necessarie a popolare un sistema NAS professionale o una workstation da video-editing, inizia a pesare in modo determinante sui budget di investimento.
Anche i tagli medi e piccoli non sono risparmiati:
- Fino a 250 GB: il prelievo sale a 1,87 euro.
- Tra 250 GB e 500 GB: si passa a 3,04 euro.
- Tra 500 GB e 1 TB: la quota raggiunge i 5,84 euro.

Chiavette USB e Schede SD: il balzello sul quotidiano
Il prelievo non risparmia i supporti rimovibili, strumenti essenziali per il trasferimento rapido di dati o per l’espansione di memoria di laptop e fotocamere. Le chiavette USB sopra i 32 GB vedranno il loro compenso massimo schizzare da 7,50 a 8,76 euro. Per le schede di memoria (SD, microSD) di pari capacità, il tetto sale a 5,26 euro.
Il paradosso tecnico è evidente: in un mercato dove il costo per gigabyte della memoria flash continua a scendere grazie all’innovazione tecnologica, il “peso” normativo del compenso per copia privata aumenta, annullando di fatto i vantaggi economici per l’utente finale che, anzi, si troverà a pagare un costo più elevato per strumenti quotidianamente utilizzati per lavoro, studio e associazionismo.
Aziende e professionisti: un costo che pesa
L’allarme lanciato da associazioni come ASMI sottolinea come questi aumenti non siano solo un problema per il singolo utente che acquista uno smartphone (il cui rincaro può toccare i 9,69 euro per i modelli oltre i 2 TB), ma per l’intera filiera produttiva.
Le aziende che investono in infrastrutture IT si trovano a pagare un “pedaggio” forzoso su hardware destinato esclusivamente ad uso professionale – dove la creazione di “copie private” di contenuti protetti è virtualmente nulla. A questo si aggiunge la scure sui dispositivi ricondizionati: il nuovo decreto prevede che il compenso venga pagato nuovamente ad ogni ciclo di vita del prodotto. Uno smartphone rigenerato, dunque, pagherebbe la tassa una seconda volta, in aperta contraddizione con le politiche europee di economia circolare e sostenibilità.
Inoltre, per la prima volta, la bozza introduce il prelievo sui servizi di Cloud Storage. Un’imposizione ulteriore, insomma, che rischia di rendere i provider italiani meno competitivi rispetto ai colossi esteri, aggravando ulteriormente i costi di gestione dei dati per le PMI italiane ed apporta un elemento ulteriore di distorsione sul mercato interno. Se il buongiorno si vede dal mattino, il 2026 non prospetta bene e il compenso per copia privata ne potrebbe essere l’incipit atteso e indesiderato.