No, Dropbox non spia i file degli utenti e non li trasferisce a OpenAI

Dropbox spegne l'incendio scatenatosi nei giorni scorsi: alcuni utenti accusavano la società di condividere il contenuto dei file memorizzati sul servizio di storage cloud con partner come OpenAI.

Ha destato grande scalpore, in questi giorni, la scoperta di una funzionalità di configurazione di Dropbox che, almeno apparentemente, sembra autorizzare il noto servizio di storage cloud a condividere i dati degli utenti con soggetti terzi. Dropbox spiega che effettivamente esiste un collegamento tra il suo sistema di memorizzazione file ed alcune società partner che si occupano di intelligenza artificiale, tra cui OpenAI. Nessun dato, tuttavia, è utilizzato per addestrare i modelli generativi.

Cos’è la funzione “Third-party AI” contenuta in Dropbox

Nel tentativo di placare le feroci critiche piovute su Dropbox, il CEO dell’azienda Drew Houston ha voluto chiarire come stanno le cose. L’opzione contenuta nelle impostazioni di Dropbox che abilita l’utilizzo dei servizi di intelligenza artificiale sviluppati da terze parti, mira soltanto a offrire un servizio in più: gli utenti possono servirsene per porre domande sul contenuto di specifici documenti.

Dropbox trasferisce dati OpenAI

Dropbox non trasmette automaticamente o passivamente i dati dei clienti a servizi AI di terze parti“, ha rassicurato Houston. La piattaforma di storage cloud resta responsabile del trattamento dei dati e assicura che nessun dato è trasferito a terze parti.

In un articolo di supporto che getta acqua sul fuoco, Dropbox riconosce la responsabilità di assicurare garanzie sul versante della privacy, soprattutto quando si utilizzano strumenti di intelligenza artificiale. L’azienda ha messo a fuoco una serie di principi per guidare il suo operato: parlando di IA, l’uso di quest’ultima deve essere trasparente e non può essere sfruttato come strumento per commercializzare i dati degli utenti lucrando su di essi.

Per giunta, l’opzione “Third-party AI” non è al momento offerta all’intera base di utenti Dropbox ma soltanto a coloro che hanno scelto di partecipare al programma di test (attualmente in fase “alpha”). Solo ed esclusivamente per questi utenti, l’opzione risulta abilitata in modo predefinito.

Questa volta, insomma, sembra essersi davvero trattato della classica tempesta in un bicchier d’acqua. Tuttavia, almeno a nostro avviso, Dropbox ha forse utilizzato un approccio un po’ troppo “leggero” astenendosi dal dettagliare tecnicamente una funzionalità che dava adito a interpretazioni poco chiare.

Quando si parla di dati personali degli utenti, di intelligenza artificiale, del loro utilizzo sul cloud e del potenziale impiego da parte di soggetti terzi, è essenziale muoversi con i proverbiali piedi di piombo.

Credit immagine in apertura: iStock.com/hocus-focus

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