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Finora ci siamo astenuti dallo scrivere qualunque osservazione in merito, ma poiché siti italiani e stranieri insistono nell’annunciare il ritorno di Windows 7, con quote di mercato che in un solo mese (da agosto a settembre 2025) avrebbero raggiunto addirittura il 10%, ci sembra opportuno dire la nostra sull’argomento. Tutte le fonti fanno riferimento alle statistiche aggiornate di Globalstats StatCounter che danno la leadership a Windows 11 con il 49% delle quote di mercato. Segue Windows 10 con il 40,5% e, sorprendentemente, Windows 7 con il 9,6%.
Davvero chi fa informazione su software e tecnologia può ritenere che un sistema operativo come Windows 7, che non riceve più aggiornamenti di sicurezza da metà gennaio 2020, almeno in via ufficiale, possa tornare a solleticare l’interesse degli utenti di tutto il mondo? Proprio adesso che si parla del fine vita di Windows 10?
Perché il ritorno in auge di Windows 7 è una falsità
StatCounter è una piattaforma di web analytics che, analogamente a Google Analytics, raccoglie dati attraverso un tracking code installato su circa 1,5 milioni di siti Web.
Il funzionamento è semplice: quando un utente visita una pagina che integra il codice di StatCounter, l’applicazione lato serve acquisisce innanzi tutto lo user agent del browser. Lo user agent fornisce informazioni sul sistema operativo, sul browser utilizzato e in alcuni casi sull’hardware. Le statistiche sono aggregate e gestite tenendo conto della percentuale di pagine viste generate dai vari user agent, non come numero di dispositivi realmente attivi.
In altre parole, StatCounter non misura quante macchine con Windows 7 sono ancora operative, ma quante visite ai siti monitorati provengono da browser che dichiarano la presenza di Windows 7 come sistema operativo sottostante.
L’anomalia di Windows 7: un errore di rilevamento
L’impennata nelle quote di mercato di Windows 7 registrata a settembre 2025 è difficilmente spiegabile con un reale incremento degli utenti di questo sistema operativo.
Al contrario, è quasi certamente riconducibile al processo di anonimizzazione e della riduzione dell’uso delle stringhe user agent nei browser basati su Chromium. Il cambiamento può causare errori di interpretazione da parte di sistemi di analytics che si basano su identificatori incompleti od obsoleti, portando alcuni client a essere etichettati come “Windows 7”, anche se in realtà non usano affatto questo sistema operativo.
Molti bot, crawler o reti di test automatizzate utilizzano user agent datati, come Windows NT 6.1 (Windows 7), per evitare blocchi. Se queste attività non sono filtrate correttamente, possono gonfiare artificialmente i dati.
Non è la prima volta che StatCounter pubblica dati distorti. Nel 2024, ad esempio, la piattaforma aveva riportato un improvviso calo di Google Search a favore della concorrenza: anche in quel caso, si trattava di un errore poi corretto.
Perché un ritorno reale a Windows 7 è impossibile
Quello che stiamo osservando non corrispondente a un reale ritorno di Windows 7. Ci troviamo piuttosto dinanzi a un’illusione statistica, che in alcuni casi è addirittura cavalcata con toni sensazionalistici da testate e portali in cerca di clic.
Parlare oggi di un improbabile rilancio di Windows 7, proprio mentre Microsoft si prepara a chiudere il ciclo di vita di Windows 10 e spinge sempre più utenti verso Windows 11, non fa che confondere l’opinione pubblica.
Al di là delle anomalie statistiche, l’ipotesi di un ritorno massiccio a Windows 7 non regge neppure a un’analisi tecnica. Suite grafiche, la maggior parte dei software professionali, piattaforme come Steam hanno dato tempo cessato il supporto per Windows 7.
I produttori hardware hanno bloccato la distribuzione di driver compatibili e il supporto esteso Microsoft è terminato da almeno un lustro. Anche il programma a pagamento ESU (Extended Security Updates) è arrivato a conclusione il 10 gennaio 2023. In un’epoca di regolamentazioni severe, nessuna organizzazione seria potrebbe permettersi di usare un sistema operativo non sicuro e non aggiornato.