Piattaforma AGCOM per contrastare lo streaming pirata: come funziona

Presentiamo, in anteprima, il funzionamento della piattaforma AGCOM che si prefigge come obiettivo quello di bloccare la diffusione di streaming piratati sulla rete Internet. Il sistema offre ai detentori dei diritti la possibilità di bloccare i flussi audiovisivi non autorizzati nel giro di 30 minuti massimo.

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) è da tempo al lavoro sull’implementazione di una piattaforma Web che si prefigge come obiettivo primario quello di contrastare la pirateria audiovisiva online. Il nome del progetto è Piracy Shield e vede in prima fila la Lega Calcio, impegnata nella tutela degli aventi diritto alla trasmissione in diretta degli eventi sportivi in Italia. L’iniziativa era in itinere già a marzo 2023: all’epoca AGCOM si preparava a bloccare gli indirizzi IP usati dai siti pirata interrompendo la visione delle partite di calcio redistribuite illecitamente in streaming da soggetti non aventi titolo.

Come funziona, a grandi linee, la piattaforma AGCOM per il blocco dello streaming pirata

Come confermato a fine luglio 2023, l’obiettivo di AGCOM e dei detentori dei diritti sui contenuti digitali, è quello di bloccare lo streaming pirata nel giro di 30 minuti dalla segnalazione.

I dati pubblicati sulla piattaforma AGCOM e gli ordini impartiti attraverso di essa, sono vincolanti per gli operatori di telecomunicazioni nonché per i soggetti che gestiscono soluzioni di rete (si pensi ai molteplici servizi VPN). Questi ultimi sono chiamati non soltanto ad agire a livello di record DNS, inibendo quindi la risoluzione dei nomi a dominio associati a siti Web che diffondono contenuti protetti dalla normativa a tutela del diritto d’autore senza alcuna autorizzazione. Devono attivarsi inoltre anche per bloccare l’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP univocamente destinati ad attività illecite. Quell’avverbio “univocamente“, come già evidenziato in passato, risulta davvero determinante.

Capita spesso, infatti, che alcuni indirizzi IP utilizzati per diffondere flussi audiovisivi “piratati” siano inconsapevolmente utilizzati da utenti che offrono servizi assolutamente legittimi e che anzi basano il loro business proprio su tali indirizzi. Con “univocamente”, AGCOM sta a significare che spetta agli operatori controllare che non siano bloccati servizi legittimi.

Le spese che AGCOM deve affrontare per lanciare la nuova piattaforma

In un documento pubblicato qualche giorno fa, a fine novembre 2023, AGCOM invita gli interessati a procedere con il versamento dei contributi dovuti all’Autorità per “le attività di prevenzione e repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore, ai sensi della legge n. 93/2023“. AGCOM, insomma, batte cassa coinvolgendo direttamente i detentori dei diritti a fronte delle attività direttamente espletate.

Esaminando il contenuto dell’allegato A alla delibera n. 266/23/CONS, si scopre infatti che l’Autorità ha stimato 650.000 euro di costi per il solo anno 2023 tra oneri per competenze fisse destinate al personale, per le prestazioni di lavoro straordinario, per il reclutamento, per i costi di funzionamento, per il cosiddetto live blocking a livello di piattaforma e l’adeguamento dei sistemi informativi preesistenti, per la realizzazione di campagne informative destinate al pubblico.

Funzionamento della piattaforma AGCOM più nel dettaglio

Un aspetto fondamentale, che sottolinea AGCOM stessa nei documenti ufficiali, è che la piattaforma anti-pirateria online ha un funzionamento del tutto automatizzato. Fatta eccezione per le segnalazioni degli aventi diritto, che possono accedere alla piattaforma per impostare le richieste di blocco, formalmente inviate poi ai server dell’Autorità, la gestione degli “ordini di censura” è elaborata in automatico, senza quindi presupporre la verifica di un operatore in carne ed ossa.

Gli operatori che rilevano una violazione dei loro diritti (leggasi, ad esempio, pubblicazione non autorizzata dello streaming di una partita di calcio) devono autenticarsi sulla piattaforma AGCOM quindi specificare i nomi a dominio e gli indirizzi IP allegando una prova digitale (ad esempio la schermata del flusso dati illecito).

A quanto sembra, la fiducia della piattaforma nei confronti di quanto dichiarato dai detentori dei diritti è totale: gli operatori di telecomunicazioni saranno tenuti a scaricare un file con l’elenco degli elementi da bloccare oppure utilizzare un’API REST. Quest’ultima è evidentemente integrabile ancora più facilmente con i software utilizzati dai singoli provider, al fine di bloccare l’accesso ai siti e agli IP indicati.

Tante zone d’ombra e punti interrogativi

Come osservavamo anche nell’articolo pubblicato a marzo 2023, sono tanti i dubbi che restano sul tavolo. Ricordate l’avverbio “univocamente” utilizzato da AGCOM? Ecco, spetta a ogni provider di telecomunicazioni verificare che le richieste di blocco non impattino negativamente sul funzionamento di siti, applicazioni e servizi online legittimi.

Se quindi un provider dovesse rilevare un potenziale problema, anche in forma automatizzata (ad esempio perché l’IP segnalato risulta condiviso tra più soggetti, tra cui clienti che non pongono in essere alcuna attività in violazione della legislazione vigente), cosa è tenuto a fare? Ignorare semplicemente la segnalazione pervenuta dai detentori dei diritti per tramite di AGCOM?

Come e quando gli indirizzi IP bloccati torneranno raggiungibili? Infine, il codice sorgente della piattaforma AGCOM sarà disponibile pubblicamente? E il suo funzionamento sarà sottoposto ad audit periodici per verificarne la sicurezza e scongiurarne abusi?

Pensate a ciò che potrebbe succedere se un utente malintenzionato riuscisse a farsi largo sulla piattaforma AGCOM e iniziasse a bloccare interi blocchi di indirizzi IP. Approfittando del funzionamento automatizzato della piattaforma, le conseguenze potrebbero essere davvero nefaste.

Credit immagine in apertura: iStock.com/Sitade

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