Prime critiche a ChatGPT Atlas: un incubo per la privacy

Il nuovo browser di OpenAI è potenzialmente più invasivo, per la privacy dell'utente, rispetto a Chrome e agli altri browser tradizionali. Ma il gioco vale la candela?
Prime critiche a ChatGPT Atlas: un incubo per la privacy

A poche ore dal lancio di ChatGPT Atlas, il nuovo browser AI di OpenAI al momento disponibile solo per macOS, arrivano già le prime pesanti critiche. Come era facile immaginare, si tratta principalmente di critiche relative alla privacy e alla gestione dei dati sensibili dell’utente che usa il browser.

Sull’autorevole giornale The Washington Post (che, lo ricordiamo, è di proprietà di del fondatore di Amazon Jeff Bezos) è stato pubblicato un pesante articolo a firma di Geoffrey A. Fowler dal titolo abbastanza esplicito: “ChatGPT ha appena lanciato il suo browser. Usatelo con cautela“.

ChatGPT Atlas è peggio di Chrome

Secondo Fowler ChatGPT Atlas, dal punto di vista della privacy, è persino peggio di Chrome (un browser che, secondo il giornalista, ormai è diventato un software spia):

Non si limita a tracciare quali siti visiti, ma accumula “memorie” su ciò che guardi o fai su questi siti. Può persino prendere il controllo del tuo mouse e navigare al posto tuo.

Poi il giornalista spiega che è ancora troppo presto per valutare se il gioco valga la candela, cioè se i vantaggi di usare Atlas siano maggiori rispetto allo svantaggio di regalargli una enorme mole di dati. Ma, dice ancora Fowler, “i controlli per regolare ciò che Atlas registra sono a dir poco confusi“.

Atlas ha due modi per raccogliere dati sull’utente: il primo è sostituire Google con ChatGPT Search come motore di ricerca, il secondo è proprio il meccanismo delle memorie. Spiega Fowler:

Dietro le quinte lavora per imparare molto di più su di te. Se gli concedi il permesso durante il setup, il browser accumula un tesoro di memorie sui siti che visiti e li naviga “quando tu ne hai bisogno”.

Tutti questi dati vengono quindi utilizzati per personalizzare l’esperienza di navigazione dell’utente, suggerire cosa debba fare, proporre un contenuto o un sito piuttosto che un altro. Secondo Fowler non tutto ciò che viene registrato è giustificabile:

Ci sono cose che vorresti che una AI ricordi e riproponga in futuro e cose che di sicuro non vorresti, come i problemi relazionali o quella condizione medica imbarazzante che hai cercato alle 2 di notte.

Atlas, inoltre, non tiene traccia di documenti di identità, conti correnti, indirizzi, password, né registra memorie sui siti per adulti visitati, ma dai test effettuati da Lena Cohen della Electronic Frontier Foundation, risulta che tiene traccia di ricerche su “servizi sanitari sulla salute sessuale e riproduttiva“.

In definitiva, Fowler ammette che ChatGPT Atlas ha molti controlli per la privacy gestibili dall’utente, ma “Anche un aereo 747 ha un sacco di controlli. Ma ciò non significa che tu sappia pilotarlo“.

Le critiche sono giustificate?

Gran parte di queste critiche potrebbero essere rivolte, parola per parola, anche ad altri strumenti simili. In primis a Perplexity Comet, se parliamo di browser, e a Microsoft Copilot, se allarghiamo lo sguardo agli agenti AI a livello di sistema operativo.

A dire il vero, poi, è tutta l’AI agentica che si basa su una massiccia raccolta di dati dell’utente, senza i quali non può semplicemente funzionare perché nessuno può fare qualcosa al posto tuo senza che tu gli faccia prima vedere come lo faresti tu.

Certamente si tratta di una quantità di dati superiore a quella che, ogni giorno, regaliamo a Google quando facciamo le ricerche online. Ma la versa domanda è un’altra: possiamo, oggi, fare a meno di Google e potremo, a breve, fare a meno dell’AI agentica?

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