Quad9 batte Sony: non deve modificare i server DNS

Dopo Cloudflare anche Quad9 ottiene un'importante vittoria: i gestori di server DNS non sono tenuti a modificare i loro record su richiesta dei detentori dei diritti d'autore. La Germania assume una decisione diametralmente opposta a quella adottata in Italia.

Dopo la decisione dei giorni scorsi dei giudici tedeschi in materia di server DNS pubblici, arriva una sentenza che si pone sulla stessa scia della precedente. Quad9, azienda che gestisce un resolver DNS ampiamente utilizzato a livello globale, annuncia di aver ottenuto un’importante vittoria avendo la meglio su Sony.

Più di due anni fa, Sony Entertainment aveva avviato una vertenza legale contro contro Quad9. Sony sosteneva che Quad9 dovesse interrompere la risoluzione di determinati nomi di dominio coinvolti nella violazione del diritto d’autore, per via della distribuzione – senza autorizzazione alcuna – di contenuti protetti dalle vigenti norme sul copyright.

Quad9 osserva che la vittoria ottenuta nei confronti di Sony in Germania rappresenta un momento significativo e ripaga degli sforzi volti a mantenere il World Wide Web una risorsa neutrale per tutti gli utenti che se ne servono.

Quad9 non deve modificare i suoi record DNS: ecco perché

L’accusa cercava di stabilire un obbligo per i gestori di servizi di risoluzione dei nomi di dominio nel bloccare gli indirizzi segnalati dai detentori dei diritti d’autore. Quad9 ha contestato strenuamente la richiesta avanzata da Sony precisando che i resolver DNS pubblici non hanno alcuna relazione commerciale, né diretta né indiretta, con eventuali soggetti terzi che si macchiano di violazioni delle norme a tutela del copyright.

Nonostante Quad9 sia un’organizzazione con sede principale in Svizzera, Sony è riuscita a ottenere un’inibizione valevole nel Paese elvetico facendo leva sul contenuto della Convenzione di Lugano.

Quad9 ha deciso di dare battaglia ottenendo oggi una decisione chiara e inequivocabile in suo favore. I giudici del tribunale di Dresda (Germania) hanno infatti concluso che i gestori dei resolver DNS non sono tenuti a bloccare i nomi di dominio sui quali sono svolte attività illecite. Questo perché, come stabilito nel caso di Cloudflare, nell’ambito di un procedimento similare, il fornitore del servizio DNS non offre un servizio centrale per l’erogazione della piattaforma illecita gestita da terze parti. I detentori dei diritti devono attivarsi quindi primariamente sui fornitori dei servizi di hosting piuttosto che provare la strada più facile dei resolver DNS.

Il caso che ha visto coinvolta Quad9 è così chiuso in quanto non può più essere discusso presso altre sedi. Vale la pena evidenziare che uno dei TLD “pietra dello scandalo” (.to, gestito dal regno polinesiano di Tonga) è lo stesso preso di mira nella vertenza italiana contro Cloudflare. In quel caso, il Tribunale di Milano ha assunto una decisione diametralmente opposta ai giudici tedeschi intimando a Cloudflare il blocco dei nomi a dominio (addirittura di primo livello!…).

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