Questa VPN è cresciuta del 1000% in soli 30 minuti: "merito" delle restrizioni

Dal 6 giugno 2025, in Francia è obbligatoria la verifica dell’età tramite servizi terzi per accedere ai siti per adulti. La norma, pensata per proteggere i minori, impone un “doppio anonimato”, ma solleva critiche per i rischi legati alla privacy, all’efficacia e alla libertà digitale.

Dal 6 giugno 2025, in Francia è entrata in vigore una nuova legge che impone ai siti per adulti l’obbligo di verificare l’età degli utenti tramite servizi terzi, con l’obiettivo di impedire ai minori di accedere a contenuti pornografici. La legge, approvata nel maggio 2024, non specifica una tecnologia unica per la verifica, ma richiede che sia utilizzato un sistema affidabile, gestito da terzi, che può includere il controllo tramite carta di credito, riconoscimento facciale via webcam o verifica dei documenti d’identità. Il sistema deve garantire un “doppio anonimato”, cioè tutelare la privacy sia dell’utente sia del sito rispetto al verificatore dell’età. Il fatto è che, con l’applicazione della nuova normativa, Proton VPN ha registrato un’impennata senza precedenti nelle registrazioni al suo servizio: un aumento del 1.000% in soli 30 minuti.

Il contesto normativo: una risposta discutibile per la protezione dei minori

La legge francese si inserisce in un contesto internazionale sempre più orientato alla regolamentazione dell’accesso ai contenuti online da parte dei minori. Oltre 20 stati USA e diversi Paesi europei stanno implementando normative simili, spesso sotto la spinta di preoccupazioni legittime legate alla tutela dell’infanzia. Tuttavia, queste misure sollevano una serie di criticità:

  • Rischi per la privacy: la raccolta di documenti d’identità da parte di soggetti terzi, incaricati di verificare l’età degli utenti, pone problemi enormi in termini di gestione sicura dei dati, esposizione al rischio di furti di identità e potenziale ricatto.
  • Effetti collaterali sulla libertà di espressione: i sistemi di verifica dell’età possono avere un effetto dissuasivo sull’accesso anche a contenuti legittimi e legali, contribuendo a un ambiente di controllo digitale.
  • Efficacia limitata: strumenti come le VPN o reti anonime come Tor rendono inefficaci molte di queste restrizioni.

La reazione dei siti per adulti e le motivazioni della protesta

I principali siti per adulti, tra cui Pornhub, YouPorn e RedTube, gestiti dal gruppo canadese Aylo (ex MindGeek), hanno deciso di sospendere l’accesso ai loro servizi per tutti gli utenti francesi a partire dal 4 giugno 2025, in segno di protesta contro la nuova normativa. Gli utenti che tentano di accedere a questi siti si trovano di fronte a una pagina che spiega la posizione dell’azienda e denuncia i rischi per la privacy e la sicurezza dei dati personali legati ai nuovi sistemi di verifica.

Aylo sostiene di non essere contrario al principio della verifica dell’età, ma ritiene che le modalità richieste dalla legge francese siano irragionevoli, sproporzionate e inefficaci, oltre che potenzialmente lesive della privacy degli utenti.

L’azienda propone invece che la verifica dell’età venga gestita a livello di sistema operativo o dispositivo, affidando il compito a grandi aziende tecnologiche come Google, Apple o Microsoft, che potrebbero fornire queste informazioni ai siti e alle app senza compromettere la privacy degli utenti.

Esplosione nell’utilizzo di Proton VPN: +1.000% in 30 minuti

Chi conosce i detti popolari, avrà già compreso il senso della nostra immagine di apertura… Ecco, per dare un senso al fenomeno francese, basta riportare i dati ARCOM, l’autorità transalpina per i media digitali: ogni mese circa 2,3 milioni di minori francesi accedono a contenuti pornografici, pari al 12% dell’utenza nazionale. E per Pornhub la Francia rappresenta il secondo mercato mondiale, con circa sette milioni di visitatori quotidiani sulle sue piattaforme.

Da qui appena evidente il successo di Proton VPN che dal primo giorno dell’entrata in vigore della normativa d’Oltralpe, ha visto un incremento del 1.000% nel numero degli utenti in appena mezz’ora.

Proton VPN, azienda svizzera fondata nel 2014 e nota per il suo approccio centrato sulla privacy, ha dichiarato che non aveva certo previsto di diventare il mezzo per aggirare il blocco dei siti per adulti. Tuttavia, la realtà è che i suoi servizi, come quelli di molte altre VPN, sono spesso impiegati proprio per bypassare restrizioni governative o geografiche.

Quando abbiamo costruito Proton VPN, il nostro obiettivo era aiutare le persone a eludere la censura nei paesi autoritari. Non ci aspettavamo che diventasse una porta d’accesso ai siti porno. Ma i fatti sono chiari: le iscrizioni dalla Francia sono decuplicate“, si spiega da Proton VPN. E il paradosso emerge chiaramente: una legge pensata per aumentare la sicurezza degli utenti porta invece a una migrazione di massa verso strumenti progettati per sfuggire al controllo.

Tecnologie di controllo vs libertà individuale

Le tecnologie per la verifica dell’età sono spesso criticate dagli esperti di sicurezza informatica, associazioni per i diritti digitali e persino da alcune aziende tecnologiche. La loro applicazione su larga scala introduce rischi sistemici, trasformando i siti per adulti in banche dati sensibili, obiettivi di valore per hacker e strumenti potenziali di coercizione e sorveglianza.

Proton stessa parla di un’alternativa più pragmatica: “Un approccio tecnicamente più valido sarebbe implementare controlli parentali direttamente sui dispositivi che i genitori forniscono ai figli“.

In sostanza, si sposta il focus dalla censura generalizzata a un modello più responsabilizzante e decentralizzato, in cui sono le famiglie, e non lo Stato o aziende terze, a decidere cosa è accessibile ai minori.

Perché VPN e Tor NON sono la soluzione del problema?

Sostenere che VPN e Tor sono soluzioni efficaci alle “censure” di Stato, significa non essere consapevoli della gravità del problema principale. “Siti bloccati e resi inaccessibili? Basta usare VPN o Tor: c’è una soluzione a tutto!” Non è propriamente così.

Il tema cruciale non riguarda se gli utenti, soprattutto coloro che sono in possesso di un bagaglio tecnico sufficientemente avanzato, siano in grado di superare i blocchi imposti. L’argomento è molto più profondo è si interseca con la difesa dei diritti digitali.

Quando una misura normativa viene introdotta, anche se tecnicamente fragile o facilmente aggirabile, essa non rappresenta un fallimento, ma piuttosto un primo passo verso una progressiva legittimazione dell’intervento statale nei meccanismi profondi della rete. Questo processo di normalizzazione si traduce spesso in un’escalation: ciò che nasce come una risposta mirata — ad esempio contro contenuti estremi o illegali — finisce per estendersi a settori molto più ampi, giustificando controlli sempre più capillari e restrittivi.

I servizi progettati per preservare la privacy, come le VPN, Tor o i server DNS alternativi, diventano allora bersagli da neutralizzare, trasformati da strumenti di libertà in ostacoli alla “piena efficacia” delle norme. A pagarne il prezzo è la maggioranza silenziosa degli utenti, che si affida a soluzioni commerciali e che rischia di trovarsi esclusa da porzioni crescenti della rete.

In questo contesto, il principio dell’anonimato — riconosciuto anche dal nostro Parlamento, come raccontiamo nella guida su Tor — è sacrificato sull’altare dell’enforcement, in nome di una sicurezza che finisce per coincidere con la sorveglianza pervasiva.

Il vero pericolo: la schedatura massiva e il controllo statale

Nel dibattito contemporaneo sull’identità digitale obbligatoria e la tracciabilità degli utenti online, il vero pericolo non risiede nell’abilità di una minoranza tecnicamente esperta di aggirare le restrizioni. La vera minaccia è la costruzione di un’infrastruttura coercitiva che impone l’identificazione certa dell’individuo da parte dello Stato, con implicazioni vaste per la libertà, la privacy e la tenuta democratica delle nostre società.

Parliamo di informazioni che vanno ben oltre i meri dati anagrafici: gusti sessuali, orientamenti politici o religiosi, preferenze culturali e consumistiche.

La concentrazione di tali dati in sistemi centrali gestiti da autorità statali o entità sovranazionali rappresenta un potenziale terreno fertile per abusi, discriminazioni algoritmiche, repressioni selettive e manipolazioni di massa. E non occorre uno scenario distopico per comprenderne il pericolo: la storia recente è costellata di esempi in cui infrastrutture progettate per la sicurezza sono state riconvertite in strumenti di sorveglianza sistemica.

Il nodo è culturale, non digitale

La conclusione non può che essere un invito alla riflessione collettiva: non è la tecnologia a salvarci o a condannarci, ma l’uso che ne facciamo in quanto società. Le piattaforme, gli algoritmi e i sistemi di identificazione sono solo strumenti. La direzione che prendono dipende dalle scelte politiche, dalla pressione sociale e dalla consapevolezza dei cittadini.

Serve un cambio di visione: abbandonare la logica del controllo totale in nome della sicurezza e riscoprire il valore della privacy, dell’anonimato responsabile, del pluralismo digitale. Affermare che “basta usare una VPN” è un modo superficiale e tecnocratico di ignorare il vero problema, che è strutturale, culturale, democratico.

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