Whatsapp: beghe privacy e "canone di abbonamento"

Whatsapp applicazione per l'instant messaging, compatibile con varie piattaforme mobili (Android; BlackBerry OS, iOS; Symbian S60; Windows Phone), sta vivendo ore piuttosto tumultuose.

Whatsapp applicazione per l’instant messaging, compatibile con varie piattaforme mobili (Android; BlackBerry OS, iOS; Symbian S60; Windows Phone), sta vivendo ore piuttosto tumultuose. Le autorità per la protezione dei dati personali di Olanda e Canada hanno puntato il dito contro il software contestando all’omonima società sviluppatrice alcune violazioni. La tesi accusatoria è la medesima: Whatsapp violerebbe le leggi dei due stati imponendo, come requisito indispensabile per il funzionamento, accesso incondizionato al contenuto della rubrica telefonica. Tra i contatti di un utente di Whatsapp possono esserci sia persone che usano l’applicazione sia informazioni relative ad individui che non la impiegano, si spiega dall’ufficio del garante privacy olandese. L’accesso indiscriminato a tutti i dati, da parte di Whatsapp, violerebbe le vigenti normative. E se è vero che la versione di Whatsapp per iOS 6 consente di aggiungere manualmente i contatti anziché attingere alla rubrica telefonica, ciò non è (ancora) vero nel caso di tutte le altre piattaforme mobili supportate.
I responsabili di Whatsapp si sono per il momento limitati a confermare che il comportamento dell’applicazione sarà al più presto modificato (non è stata però fornita alcuna data).

Non solo. La recente decisione di rendere a pagamento, almeno parzialmente, l’applicazione ha letteralmente fatto infuriare alcuni utenti. La società ha infatti introdotto una sorta di canone di abbonamento annuale per l’utilizzo della versione Android del programma. L’obolo da versare è estremamente contenuto perché pari ad appena 79 centesimi di euro: per un anno dal momento dell’installazione dell’applicazione, si potrà utilizzarla liberamente poi – se si vorrà continuare ad impiegarla – bisognerà versare la somma richiesta. La versione per iOS viene invece distribuita, attraverso lo store di Apple a 99 centesimi di euro “una tantum”.

Molti utenti hanno sollevato un gran polverone protestando per la decisione commerciale di Whatsapp facendone, spesso, una questione di principio. Il problema di fondo, però, è che i server, la banda di rete ed il personale costano: evidentemente, Whatsapp cerca adesso di fare cassa preparandosi ad un’acquisizione, forse, da parte di Facebook (le indiscrezioni erano circolate nei giorni scorsi). La completa gratuità è probabilmente una chimera: se si sta utilizzando un servizio importante, famoso, utilizzato da migliaia o milioni di persone e non lo si paga c’è qualcun altro che sta pagando al posto nostro (ad esempio, gli inserzionisti).
Ancora una volta si ripropone la solita questione: un servizio, è indiscusso, appare molto più appetibile quando può essere utilizzato a costo zero. D’altra parte, per erogarlo bisogna trovare i fondi altrove se si rinuncia alle sovvenzioni degli utenti. Un’occhiata alle condizioni d’uso di Whatsapp offre interessanti risposte, valide anche per tutta una serie di altri servizi di altri produttori. E se nonostante i pochi centesimi da versare, i malumori degli utenti dovessero aumentare, Whatsapp potrebbe valutare il rilascio di due versioni dell’applicazione: una pagamento e l’altra infarcita di pubblicità; proprio quella soluzione che gli autori Jan Koum e Brian Acton (ex Yahoo) hanno sempre dichiarato di disdegnare.

Attraverso Whatsapp vengono inviati miliardi di messaggi al giorno: la statistica aggiornata ad agosto 2012 parla di 10 miliardi di messaggi quotidiani. Una escalation vertiginosa se si pensa che ad ottobre 2011 i messaggi erano un miliardo al giorno e ad aprile 2012 due miliardi. Cento milioni sarebbero gli utenti di Whatsapp attivi su base giornaliera: se anche solo questi versassero “l’obolo” richiesto, si arriverebbe rapidamente ai 100 milioni di dollari d’introiti, una cifra enorme se paragonata al finanziamento inziale di 8 milioni di dollari ricevuti da Sequoia Capital.

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