Trojan di Stato, se ne torna (purtroppo) a parlare

Non è passato neppure un anno e di nuovo in Italia si torna a parlare di trojan di Stato.

Non è passato neppure un anno e di nuovo in Italia si torna a parlare di trojan di Stato. Ma di che cosa si tratta?

Una proposta di legge avanzata dalla deputata Maria Gaetana Greco (PD) riporta in auge la possibilità, per le forze di polizia, di utilizzare indiscriminatamente software spia, attivabili in modalità remota, per monitorare le altrui attività espletate utilizzando lo strumento informatico.

L’iniziativa è simile a quella di un anno fa, iniziativa della quale avevamo dato conto nell’articolo Decreto antiterrorismo, bocciato il trojan di Stato.

Stando alla proposta Greco, le intercettazioni possono avvenire “anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico“.

Forti, di nuovo, le riserve sulle modifiche all’articolo 266 bis del codice di procedura penale che oggi vengono ancora poste al vaglio del Parlamento.
Il trojan di Stato cui la normativa aprirebbe le porte consentirebbe ampio margine di manovra nelle attività di monitoraggio e di intercettazione del cittadino. Le forze dell’ordine sarebbero infatti autorizzate a compiere qualunque genere di ispezione sui dati dei cittadini nell’ambito di un gran numero di indagini.

L’avvocato Guido Scorza evidenzia che i trojan di Stato “potrebbero essere utilizzati indiscriminatamente, anche nelle investigazioni relative a ogni reato “commesso mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche”. Il che, nel 2016, nell’era di Internet, significa più o meno ogni reato“.

Già in passato lo stesso Garante Privacy Antonello Soro aveva sollevato forti dubbi sulla precedente proposta. Soro aveva rilevato come l’equilibrio tra protezione dati ed esigenze investigative apparisse “sbilanciato verso queste ultime, che probabilmente non vengono neppure realmente garantite da strumenti investigativi privi della necessaria selettività“.

La precedente iniziativa di febbraio 2015 era stata affossata proprio grazie agli emendamenti di Stefano Quintarelli che rilevò, tra l’altro, come iniziative simili a quella oggi riproposta “in fotocopia” diano di fatto il “nulla osta” ad una delle più pesanti ed inaccettabili ingerenze nella vita dei cittadini. I trojan di Stato sono infatti “contestualmente una ispezione, una perquisizione, una intercettazione di comunicazioni, una acquisizione occulta di documenti e dati anche personali; tutte attività compiute in un luogo, i sistemi informatici privati, che equivalgono al domicilio“.

Certo, da un lato è importante porre nelle mani delle forze di polizia le armi più consone per contrastare, ad esempio, il terrorismo, ma dall’altro la “stella polare” deve restare sempre la tutela della privacy dei cittadini. È del tutto sconsiderato approvare normative che trasformino lo Stato in un immenso “Grande Fratello” capace di operare senza limitazione alcuna.

L’affare Hacking Team sembra non aver insegnato nulla se ancora oggi si pensa ad uno Stato che, sulla carta, dovrebbe essere democratico ma che in certi casi verrebbe autorizzato ad infischiarsene dei diritti fondamentali del cittadino.

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