Cosa sono i PPI e perché sono importanti quando si parla di display

Quanto sono importanti risoluzione e ppi per valutare un monitor. Quali sono gli aspetti da tenere in considerazione.
Cosa sono i PPI e perché sono importanti quando si parla di display

Quando si parla di display o di monitor per PC uno dei parametri che viene verificato con maggiore attenzione è il valore PPI (pixel per inch). Ma cosa sta a significare? Ed è sufficiente prendere in considerazione tale dato?

Tutti sappiamo cos’è la risoluzione di uno schermo e come si misura.
Un display Full HD ha una risoluzione pari a 1920 x 1080 pixel (o 1080p, termine che indica esattamente la stessa cosa concentrandosi sulle linee di pixel disponibili in verticale) equivalenti a poco più di 2 milioni di pixel mentre, ad esempio, un Ultra HD ha una risoluzione di 3840 x 2160 pixel ovvero circa 8,3 milioni di pixel; quattro volte di più.
Ciò significa che nello stesso spazio stiamo inserendo molti più pixel: la definizione dell’immagine sarà più elevata a parità di dimensione dello schermo (diagonale).

Proprio la dimensione del display è importante perché un’indicazione della definizione delle immagini prodotte sullo schermo è restituita non dalla risoluzione in sé bensì dal valore PPI che esprime la densità dei pixel (numero di pixel per pollice).
La densità dei pixel è importante perché è ciò che influisce primariamente sulla qualità dell’immagine: valori di PPI più elevati porteranno all’ottenimento di immagini più nitide.

Prendiamo come esempio un monitor per PC (vedere anche l’articolo Monitor PC: quale scegliere) da 27 pollici, oggi ormai piuttosto comune.

Se si utilizzasse una risoluzione 720p (1280 x 720 pixel) il valore di PPI sarebbe pari a circa 54. Passando a 1080p il valore sale a 81 PPI; salendo a 1440p (ovvero 2560 x 1440 pixel) si avrebbe un valore di PPI pari a 108; spingendosi a una risoluzione 4K UHD (3840 x 2160 pixel) si andrebbe a 163 PPI; a 8K (7680 x 4320 pixel) addirittura 326 PPI.
Lo si può verificare anche utilizzando questo pratico strumento di calcolo.

Se si affiancassero un monitor 32 pollici e un 27 pollici entrambi Full HD le immagini risulterebbero complessivamente più definite sul secondo perché il valore PPI sarà più elevato rispetto all’altro schermo.

In generale, quindi, valori di PPI più elevati sono da preferirsi anche se – va detto – all’aumentare della densità i vantaggi osservabili risulteranno sempre meno evidenti al punto da risultare impercettibili all’occhio umano. A tal proposito è essenziale mettere sulla bilancia un altro aspetto ovvero la distanza dalla quale si osserva il monitor o il display.

A basse risoluzioni, quando il valore di PPI non è particolarmente elevato, guardando lo schermo a breve distanza ci si può accorgere degli spazi vuoti presenti tra i pixel. L’immagine in sé risulterà poco nitida e sgranata. Ovvio che uno smartphone o un tablet dovranno avere un valore di PPI più elevato (elevatissimo nel caso ad esempio di un visore per la realtà virtuale o aumentata) mentre si potrà scendere a compromessi per un monitor da PC desktop.

L’esatto valore di PPI a partire dal quale anche l’occhio umano più allenato cessa di riconoscere il singolo pixel è ancor oggi oggetto di discussione.
Nel 2010, al momento del lancio dell’iPhone 4, Steve Jobs affermò che il limite percettivo della retina umana è di 300 PPI, almeno per un dispositivo tenuto a una distanza compresa tra 35 e 40 centimetri. Tutto ciò per esaltare le caratteristiche del display usato per il nuovo iPhone che raggiungeva i 326 PPI. Per questo motivo quel display e i suoi successori furono battezzati Retina.

Il limite dell’occhio umano sui 300 PPI fu oggetto di contestazione da parte di DisplayMate che lo fissò più in alto ovvero a 477 PPI. Secondo i tecnici di DisplayMate lo sguardo si sarebbe dovuto allontanare fino a 45 centimetri per prendere per buone le affermazioni di Jobs.

Tutto questo per dire che la definizione e in generale la qualità dell’immagine sono (anche) una questione soggettiva: variano sulla base della percezione di ciascun individuo.
Dolby, ad esempio, ricorda che la percezione di ogni persona è funzione di tre fattori principali:

– Il numero di pixel e la loro densità, come abbiamo visto nell’articolo.
– Il valore fps ovvero la frequenza dei fotogrammi che compongono le sequenze in movimento.
– La tipologia di pannello utilizzato e le “prestazioni” dei singoli pixel.

Proprio su quest’ultimo punto si stanno concentrando gli sforzi dei principali produttori: quando parliamo di qualità dell’immagine non è tutto risoluzione e PPI (anche se questo valore è comunque importante).

Il tipo di pannello utilizzato, la gamma dei colori supportata, luminosità, tempo di risposta, angolo di visuale, tipologia e numero di ingressi presenti sono alcune delle caratteristiche che vanno prese in considerazione.
Un pannello a 10 o 12 bit fa compiere un netto balzo in avanti in termini di qualità dell’immagine e di “aderenza al reale” rispetto a un tradizionale pannello a 8 bit: Quanti colori può vedere l’occhio umano? Perché usare HDR10 e Dolby Vision.

Per approfondire vedere anche gli articoli QLED vs OLED: chi la spunta e Mini LED: cosa sono e quali le differenze rispetto ai micro LED.

Differenza tra PPI e DPI

In molti continuano a utilizzare ancor oggi i termini PPI e DPI come se fossero intercambiabili. L’errore è avallato anche da Microsoft che in Windows 10 fa esplicitamente riferimento a “monitor high-DPI“: ne parliamo nell’articolo DPI, cosa significa e come Windows 10 gestisce gli schermi.

Il termine DPI dovrebbe essere usato solo con riferimento alla stampa dei contenuti perché il valore esprime il numero di punti stampati per pollice.
Si tratta anche di un metodo per determinare la dimensione di stampa di un’immagine su carta. Anche se alcune applicazioni di stampa usano ancora i DPI molte altre – più recenti – permettono di selezionare esattamente le dimensioni con cui si vuole stampare una foto: ne parliamo nell’articolo Scannerizzare: i migliori parametri per foto e documenti di testo.

Gran parte della confusione tra i due termini trae origine dal fatto che sebbene il valore PPI si riferisca alla risoluzione di un’immagine digitale sullo schermo esso può influenzare pure la qualità dell’immagine stampata.
Alcuni servizi di stampa professionale richiedono poi che le immagini abbiano un certo valore di DPI per poter essere stampate. Si dovrebbe parlare di PPI e non di DPI.

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