Google non scansiona più le email dei suoi utenti ma altri soggetti possono farlo

Nella risposta di Google inviata al Congresso degli Stati Uniti la società fondata da Larry Page e Sergey Brin conferma che applicazioni di terze parti possono esaminare anche il contenuto dei messaggi di posta elettronica.

Rispondendo a una sollecitazione del Congresso degli Stati Uniti, con una lettera ufficiale, Google ha chiarito che le applicazioni di terze parti restano in grado di esaminare il contenuto degli account degli utenti. Anche se la società ha cessato questa pratica (Google non effettuerà più la scansione della posta Gmail per fini pubblicitari), le applicazioni sviluppate da terzi possono continuare – per esempio – ad esaminare il contenuto delle email.
Non solo. I soggetti che sviluppano tali applicazioni hanno titolo per condividere i dati raccolti sempre che ciò sia correttamente specificato nelle policy sulla privacy e che questo tipo di attività sia oggetto di un’informativa dettagliata e trasparente nei confronti di ciascun utente.


Ovviamente l’accesso ai dati dell’account Google non è permesso a qualunque applicazione ma solo a quelle precedente autorizzate dall’utente. Come abbiamo evidenziato nell’articolo Promemoria: le app di terze parti possono accedere ai messaggi Gmail e al contenuto dell’account Google è quindi importante assicurarsi di quali applicazioni si autorizzano, quali permessi richiedono e controllare periodicamente in questa pagina la lista delle app collegate al proprio account.

Per quanto riguarda le applicazioni per la gestione della posta elettronica che possono quindi accedere agli account Gmail, Google ha chiarito l’attività di controllo che viene esercitata nei confronti di tali programmi così da far venire a galla eventuali comportamenti sospetti.

Le autorità stanno in generale stringendo le maglie intorno a società come Google, Facebook e Twitter: v’è la precisa volontà di verificare le modalità con cui i dati personali degli utenti vengono memorizzati, gestiti ed eventualmente condivisi. Il timore, dopo l’incidente Cambridge Analytica, è che soggetti terzi possano creare ricchi database contenenti dati altrui, organizzarli e comporre informazioni (o addirittura identikit individuali) sfruttabili per varie finalità.

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