SSD: la formula per stimarne la durata è da prendere con le molle

I produttori stimano la durata minima di un'unità SSD condividendo il valore TBW ossia il numero di scritture per cui viene garantita la piena funzionalità dell'unità senza sperimentare alcun problema.

Delle unità a stato solido abbiamo abbondantemente parlato in passato. Di recente siamo ad esempio tornati sull’argomento SSD M.2 (vedere SSD M2, cosa sono e come scegliere quelli migliori), l'”incarnazione” più evoluta e performante oggi disponibile sul mercato.

In generale, quando acquistiamo un SSD (mai chiamarlo “disco SSD” perché nelle unità a stato solido non è presente alcun disco, né di tipo magnetico né di altro genere, e non c’è quindi alcun componente in movimento) gli aspetti che verifichiamo immediatamente nelle specifiche riguardano la velocità di lettura/scrittura, IOPS (Input/Output Operations Per Second) e naturalmente il prezzo.

Meno attenzione viene riposta su un aspetto molto importante ovvero il dato TBW (Terabytes Written): si tratta del valore dichiarato dal produttore che fa riferimento al quantitativo di dati scrivibili sull’unità prima che possano verificarsi dei problemi.
Nell’articolo SSD, come funzionano le tecnologie che li rendono più veloci abbiamo anche visto come alcune scelte architetturali possano influenzare direttamente il valore TBW.

Quando sono arrivate sul mercato, le prime unità SSD avevano un tasso di fallimento piuttosto elevato e in alcuni frangenti alcuni dispositivi sembravano morire all’improvviso. Con il passare del tempo, miglioramenti a livello di controller, algoritmi e memorie flash NAND utilizzate hanno permesso di aumentare drasticamente la durata degli SSD anche se, ancora oggi, non sono infallibili e abbiamo già spiegato perché gli SSD possono morire senza avvisaglie da parte del sistema SMART e perché i prodotti destinati al mondo business costano di più e quali garanzie accessorie offrono: SSD, differenze tra le unità consumer e quelle destinate alle imprese.

Per ciclo P/E s’intende la sequenza di eventi che prevede la scrittura di dati nella cella di memoria NAND, la loro rimozione e quindi una successiva riscrittura. Poiché ogni produttore stabilisce e utilizza tecniche diverse per l’utilizzo delle celle di memoria, per stimare la durata di un’unità SSD si possono utilizzare valori medi.
Le unità SSD basate su chip di memoria SLC di solito hanno un valore pari a 100.000 cicli P/E, eMLC 30.000, MLC 3.000, TLC 3.000 e i chip QLC intorno ai 1.000 cicli P/E.

Ciò premesso, una stima della vita utile (in anni) di un SSD può essere stimata applicando la seguente formula:

Vita utile SSD in anni = ([Cicli P/E] * [Capacità in bytes] * [Fattore di overprovisioning]) / ([Velocità di scrittura in bps] x [Cicli di lavoro] x [Percentuale di operazioni di scrittura] x [WAF] / (36 x 24 x 3600)

WAF è acronimo di Write Amplification: si tratta di un valore che esprime la quantità effettiva di informazioni scritte fisicamente sull’unità SSD essendo un multiplo della quantità logica di dati che si intendono scrivere. Per calcolare WAF si deve dividere il numero di scritture realmente eseguite sulla flash e il numero scritture richieste dall’host; al risultato della divisione deve essere aggiunto 1. La cancellazione dei dati contenuti in un SSD, per la tipologia di operazioni che devono essere svolte, implica infatti la scrittura di più dati di quanti ne vengano eliminati come abbiamo visto nell’articolo SSD, come funzionano le tecnologie che li rendono più veloci.

Normalmente il valore WAF non supera 5; valori normali si pongono tra 1 e 2, anche se l’obiettivo di tanti produttori di SSD e controller è avvicinarsi il più possibile a zero. Ogni dispositivo, comunque, è contraddistinto da un valore differente che, purtroppo, è comunque piuttosto complicato da desumere se non specificato nella scheda tecnica.

Di solito, per semplificare “il formulone” visto in precedenza si tendono a omettere alcuni parametri che per molte unità non sono noti o derivabili. Usando un approccio più “spannometrico”, si può applicare questa formula semplificata, più facile da gestire anche se meno precisa:

Vita utile SSD in anni = ([Cicli P/E] * [Capacità in bytes]) / ([WAF] x [Quantità di dati scritti ogni anno])

Prendendo in esame un SSD con memorie NAND di tipo TLC da 240 GB (256 GB di capacità complessiva se si aggiunge anche la quantità di memoria destinata all’overprovisioning), ipotizzano 5.000 GB di scrittura annui e il caso peggiore di WAF (5), si ottengono qualcosa come 30 anni di vita utile ovvero (3.000 cicli P/E * 256 GB) / (5 x 5.000 GB).

Difficile però aspettarsi che un SSD duri veramente così tanto. Ed è proprio per questo motivo che i produttori di SSD si tutelano specificando il valore TBW ovvero il valore minimo di durabilità dell’unità inteso come quantità di dati scritti complessivamente.

E se matematicamente la formula corretta è quella indicata in precedenza, come abbiamo ripetuto fino allo sfinimento sono anche le temperature di lavoro e le condizioni di conservazione delle unità a ridurre di molto le aspettative di vita. Basti pensare che gli stessi nuovi SSD basati su chip di memoria QLC si stanno rivelando molto affidabili: SSD QLC, sono veloci e affidabili anche se sulla carta non dovrebbero esserlo.

Nell’articolo SSD: le migliori unità a stato solido del momento alcuni suggerimenti per la scelta delle unità SSD.

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