Vi è arrivata una PEC con cui Rai, Radiotelevisione Italiana, vi invita a verificare la vostra posizione e a versare, se dovuto, il cosiddetto “Canone di abbonamento radiotelevisivo speciale“? Non siete i soli. In questi giorni stiamo ricevendo tante segnalazioni da parte di professionisti e imprenditori italiani che si sono visti recapitare, nella propria casella PEC, una missiva del genere.
La comunicazione inviata dalla Rai inizia così: “le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento del canone di abbonamento speciale a chiunque detenga, fuori dall’ambito familiare o comunque a scopo di lucro diretto o indiretto, uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive. Il canone è un tributo, ed è dovuto anche qualora l’apparecchio non sia utilizzato per la visione di programmi televisivi, ma ad esempio per la diffusione di dati ed informazioni, di filmati dimostrativi o ancora nell’ambito di sistemi di videosorveglianza etc.”.
Io non guardo la televisione al lavoro! Perché dovrei pagare il canone speciale Rai?
È molto ampia la platea dei soggetti, diversi dalle famiglie, chiamati al versamento del canone speciale Rai:
- Aziende e attività iscritte al Registro delle Imprese;
- Esercizi pubblici (bar, ristoranti, alberghi, sale d’attesa, uffici aperti al pubblico);
- Studi professionali, circoli, associazioni, istituti religiosi;
- Qualsiasi locale in cui la presenza di un dispositivo ricevente abbia una funzione legata all’attività commerciale o istituzionale.
La discriminante, che comporta o meno l’obbligo del versamento del canone speciale, è la presenza di una o più apparecchiature atte alla ricezione del segnale radiotelevisivo oppure adattabili alla ricezione della radiodiffusione.
Quali dispositivi rientrano nel canone speciale
Un punto cruciale, spesso frainteso, riguarda la tipologia di dispositivi soggetti al canone. Non si tratta solo di televisori tradizionali, ma di tutti gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione del segnale radiotelevisivo, ossia:
- TV e ricevitori radio/TV fissi e portatili;
- Decoder DVB-T/DVB-S (quindi digitale terrestre e/o satellite);
- PC con sintonizzatore TV;
- Monitor professionali con tuner integrato;
- Videoregistratore dotato di sintonizzatore TV;
- Chiavetta USB dotata di sintonizzatore radio/TV;
- Riproduttore multimediale, dotato di ricevitore radio/TV.
Dispositivi sprovvisti di sintonizzatore radio/TV: l’impresa non deve pagare nulla
Il canone speciale è previsto per tutti i dispositivi muniti di sintonizzatore radiotelevisivo, in grado di ricevere segnali televisivi terrestri o satellitari. Ne sono invece esclusi gli apparecchi che consentono la fruizione di contenuti unicamente tramite connessione Internet, come computer, tablet e smartphone. Se sul computer si montasse una scheda TV tuner, utile alla ricezione dei canali TV, soltanto per il fatto di possederla si è chiamati al versamento del canone speciale Rai.
È questo il senso della frase “anche qualora l’apparecchio non sia utilizzato per la visione di programmi televisivi” contenuta nella PEC proveniente dalla Rai. Tradotto, significa che qualunque attività possegga “uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive” è obbligato al pagamento del canone, anche se tali dispositivi non sono poi effettivamente utilizzati per fruire dei programmi TV.
È vero che vi è teoricamente la possibilità di accedere ai contenuti televisivi in streaming via Internet ma la normativa non prevede certo che il semplice possesso di un computer, di uno smartphone, di un tablet o di un monitor possano configurare l’obbligo di un versamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale Rai.
L’installazione di una scheda per la sintonizzazione del segnale DVB-T e/o DVB-S all’interno di un PC, invece, fa scattare automaticamente l’obbligo di corresponsione del tributo.
Come rispondere alla comunicazione Rai ricevuta via PEC?
Rai, nel suo “avviso” trasmesso mediante PEC, ricorda al professionista o all’impresa che “il mancato pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale, nei casi in cui è dovuto, costituisce illecito tributario ed è pertanto soggetto a verbalizzazione da parte degli Organi di controllo, con conseguente applicazione delle sanzioni previste dalla normativa fiscale. Si precisa altresì che le imprese e le società sono obbligate ad indicare in dichiarazione dei redditi il numero di abbonamento speciale (art. 17, D.L. 201/2011) e che, qualora sussistano i presupposti previsti dalla legge, l’importo del canone può essere dedotto dal reddito di impresa“.
Il fatto di ricevere una PEC dalla Rai con oggetto “Canone di abbonamento radiotelevisivo speciale“, non costituisce – di per sé – alcuna imposizione e non rappresenta, tanto meno, un’intimazione di pagamento.
In linea generale, sempre che all’interno della propria impresa non vi siano uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, la comunicazione potrebbe essere anche ignorata. Tuttavia, anche in forza del fatto che trattasi di una PEC, ha senso rispondere – preferibilmente sempre via PEC con ricevuta completa – con una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (autocertificazione) in cui l’impresa dichiara di non detenere apparecchi soggetti a canone.
In caso di dubbi, ha senso fare riferimento al proprio consulente fiscale di fiducia.
Come si calcola l’importo del canone speciale
L’importo del canone speciale non è uniforme ma viene calcolato in base alla tipologia dell’attività, alla categoria commerciale o istituzionale del soggetto obbligato e al numero di apparecchi o camere presenti, se si tratta di strutture ricettive.
Il calcolo segue uno schema che tiene conto di:
- Numero di apparecchi installati;
- Numero di camere (per alberghi, residence, villaggi turistici, ecc.);
- Categoria dell’esercizio pubblico (prima, seconda, terza, ecc.);
- Tipo di esercizio (albergo, bar, circolo, studio professionale, ecc.);
- Eventuale distinzione tra radio e televisione (è possibile avere abbonamenti separati).
Le tariffe sono aggiornate periodicamente con apposito decreto ministeriale, distinguendo tra abbonamenti annuali, semestrali o trimestrali.
Il canone RAI come tributo: natura giuridica e destinazione del gettito
Sebbene il termine “canone” evochi l’idea di un corrispettivo per un servizio fruito, giuridicamente il canone Rai – sia ordinario che speciale – è a tutti gli effetti un tributo, ovvero un’imposta obbligatoria che i cittadini e le imprese (quando dovuta, ovvero allorquando ricorrano le casistiche descritte in precedenza) devono versare per la sola detenzione di apparecchi atti alla ricezione del segnale radiotelevisivo, indipendentemente dall’effettivo utilizzo.
Questa interpretazione è stata più volte confermata anche dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, che hanno ribadito come il canone abbia natura tributaria e non contrattuale. Ciò significa che:
- Il pagamento non è subordinato alla fruizione dei contenuti Rai;
- Non è possibile “rinunciare” al servizio per evitare il tributo (a meno di non possedere alcun apparecchio atto o adattabile alla ricezione radio/TV, cosa altamente improbabile in ambito familiare-domestico…);
- L’obbligo nasce ex lege e non da un rapporto contrattuale.
A chi va il gettito del canone?
Il gettito del canone non va direttamente alla Rai, ma confluisce nel bilancio dello Stato. È poi lo Stato che, attraverso una quota definita dalla legge di bilancio o da decreti attuativi, trasferisce annualmente una somma alla Rai a titolo di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo.
In particolare:
- Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) incassa il canone;
- Il MEF effettua i trasferimenti alla Rai secondo quanto stabilito da norme e accordi con l’AGCOM e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT);
- Una parte del gettito può essere trattenuta dallo Stato per finalità generali o destinate ad altri enti (come avvenuto in passato con quote riservate al Fondo per l’editoria).