Canone TIM: perché si parla ancora della decisione della Cassazione che vale 1 miliardo di euro?

A dicembre 2025 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dello Stato, confermando in via definitiva la sentenza della Corte d’Appello di Roma che impone la restituzione a TIM del canone di concessione versato nel 1998. Spieghiamo la vicenda.

Il contenzioso tra TIM (ex Telecom Italia) e lo Stato italiano sul cosiddetto canone del 1998 è uno dei procedimenti giudiziari più lunghi della storia economica italiana. A dicembre 2025, la Corte di Cassazione ha definitivamente confermato che lo Stato deve restituire a TIM quanto versato come canone di concessione nel 1998, con rivalutazione e interessi, per un importo complessivo di poco superiore a 1 miliardo di euro.

Quella di fine anno non è una “nuova” sentenza, bensì la conferma definitiva di una decisione di merito già pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma nel 2024, e resa esecutiva a inizio 2025 come spiegavamo in un articolo dedicato. Perché allora tutti i media italiani tornano a parlarne ora?

Le origini del contenzioso: liberalizzazione e canone concessorio

La vicenda nasce negli anni successivi alla liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni in Italia alla fine degli anni ’90. Nel 1998, lo Stato impose un canone di concessione sugli operatori di telecomunicazioni, tra cui Telecom Italia, pari a circa 528,7 milioni di euro (€385,9 milioni per Telecom Italia e €142,8 milioni per Telecom Italia Mobile).

TIM pagò i canoni, ma contestò fin da subito la legittimità della richiesta, sostenendo che, con la liberalizzazione del mercato, non fosse più dovuto alcun canone così concepito. La società riteneva che il criterio di calcolo e l’applicabilità dello strumento fossero incompatibili con le normative europee e con la natura del mercato liberalizzato.

La battaglia legale nei decenni

La disputa giudiziaria ha attraversato diverse fasi. Negli anni successivi al versamento del canone, TIM ha presentato ricorsi al TAR del Lazio e poi al Consiglio di Stato. Queste istanze, pur confermando taluni principi, non risolsero definitivamente la questione favorevole alla società.

Nel 2008, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea intervenne affermando che il pagamento del canone non era dovuto nella forma imposta dallo Stato italiano, perché in contrasto con il quadro normativo europeo sulla liberalizzazione delle telecomunicazioni.

Nel 2024, la Corte d’Appello di Roma ha dato ragione a TIM, condannando lo Stato a restituire i canoni indebitamente percepiti, comprensivi di rivalutazione e interessi, per un totale prossimo a 1 miliardo di euro.

La Cassazione tra gennaio e dicembre 2025

A gennaio 2025 TIM aveva già amplificato la decisione favorevole ottenuto presso la Corte d’Appello di Roma, che diventava provvisoriamente esecutiva in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione depositato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nei mesi successivi, la Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso dello Stato. Ad aprile/maggio 2025, la Cassazione aveva anche sollevato una questione procedurale sulla correttezza dell’impugnazione del ricorso da parte di TIM, allungando i tempi della decisione.

Il 20 dicembre 2025 la Cassazione ha rigettato il ricorso dello Stato e confermato in via definitiva la decisione della Corte d’Appello. TIM ha quindi ottenuto la conferma che lo Stato deve restituire:

  • il canone originario del 1998 (~528,7 milioni)
  • la rivalutazione monetaria
  • gli interessi maturati nel corso degli anni

per un totale complessivo di poco superiore a 1 miliardo di euro.

Perché i media parlano ora, a dicembre 2025, della vittoria di TIM sullo Stato?

La chiusura del contenzioso nelle aule della Cassazione non è una “novità” assoluta rispetto alla sentenza di merito del 2024, ma la notizia è di attualità per motivi economico-contabili e politici:

La conferma della Cassazione rappresenta la fine giuridica del processo, cancellando ogni possibilità di ulteriori impugnazioni da parte dello Stato. Nei documenti di bilancio e nel fondo contenziosi dello Stato sono già stati accantonati i fondi necessari per il pagamento. L’effettiva contabilizzazione e le implicazioni sui conti pubblici (per esempio nella legge di bilancio o nei documenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze) attirano grande attenzione.

Il gruppo TIM ha già cartolarizzato il credito e incassato, in parte, la somma dovuta tramite istituti finanziari (Unicredit e Santander). La conferma della Cassazione rafforza la posizione finanziaria di TIM e potrebbe influenzare strategie societarie, inclusa la possibile conversione delle azioni di risparmio in ordinarie e la ripresa della distribuzione dividendi.

Soprattutto adesso che TIM è molto diversa dal passato perché ha completato una profonda trasformazione industriale e finanziaria. La separazione della rete fissa tramite la cessione di NetCo a KKR ha ridotto in modo significativo l’indebitamento strutturale del gruppo, semplificando il perimetro operativo e consentendo a TIM di concentrarsi sul core business dei servizi, sia sul mercato domestico che su quello enterprise.

Il nuovo assetto, più leggero e focalizzato, rende la società meno esposta alle dinamiche regolatorie della rete e più orientata alla generazione di cassa, elemento chiave in ottica di ritorno alla remunerazione degli azionisti. Una sentenza favorevole della Cassazione non rappresenta solo un beneficio contabile, ma un rafforzamento concreto della credibilità finanziaria del gruppo, che potrebbe accelerare decisioni strategiche rimandate negli anni più complessi.

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