Diritto all'oblio: novità per Google, editori e blogger

Si torna a parlare della spinosissima questione del diritto all'oblio. Ogni cittadino europeo dovrebbe avere facoltà di richiedere l'eliminazione, da un qualunque sito web o da un motore di ricerca, degli articoli che lo riguardano e che fotog...

Si torna a parlare della spinosissima questione del diritto all’oblio. Ogni cittadino europeo dovrebbe avere facoltà di richiedere l’eliminazione, da un qualunque sito web o da un motore di ricerca, degli articoli che lo riguardano e che fotografano, ad esempio, il suo coinvolgimento in vecchi procedimenti giudiziari. Questa la tesi di coloro che propongono una normativa forte, capace di sancire tale diritto.

Diametralmente opposto il giudizio di Vinton Gray “Vint” Cerf, classe 1943, uno dei patriarchi della rete Internet: egli considera eventuali normative in materia di diritto all’oblio come una vera e propria minaccia per la libertà d’espressione online e la libera circolazione delle informazioni. Secondo Cerf se qualcuno pubblica un libro, questo non può essere facilmente ritirato: nelle librerie di tutto il mondo se ne troverà sempre qualche copia. L’informatico statunitense continua la sua analisi paragonando la richiesta di rimozione dei contenuti correlati ad una persona come la richiesta di estromettere un oggetto dall’interno di un’abitazione. Qualcosa di assurdo ed improponibile, ha affermato Cerf continuando: “non potete uscire di casa ed andare alla ricerca di contenuti da rimuovere sui computer della gente solo perché volete che il mondo si dimentichi di qualcosa. Non penso che sia praticabile“.

Viviane Reding, commissario europeo per la Giustizia, i Diritti fondamentali e la Cittadinanza, ha auspicato una riforma globale per la tutela della privacy dei cittadini in Rete chiarendo però la sua posizione: “il diritto a essere dimenticati non può significare il diritto a cancellare la storia“. Secondo la Reding se è vero che alle persone devono essere forniti gli strumenti per eliminare riferimenti a precedenti fatti pregiudizievoli che li riguardano, non è possibile cancellare – in un colpo solo – l’intera memoria storica.

I giudici della Corte di Cassazione si sono orientati su una soluzione di compromesso: non è necessario che le informazioni vengano eliminate ma il cittadino interessato, citato ad esempio in un articolo, ha il diritto di chiedere un’integrazione e quindi un aggiornamento delle notizie riportate. In sostanza l’autore dell’articolo o l’editore non debbono cancellare nulla ma, su segnalazione del diretto interessato, effettuare una sintesi tra le informazioni vecchie e quelle nuove in modo tale che il lettore abbia un quadro completo della vicenda trattata.
Un esempio? Si supponga che un giornale online riporti una notizia circa l’avvio di un’indagine a carico di un cittadino o la sua condanna in primo grado. Se lo stesso imputato venisse successivamente assolto, il gestore del sito web dovrà inserire almeno un riferimento all’evoluzione della vicenda aggiornando il vecchio articolo.

Lo stesso Garante della Privacy ha utilizzato un approccio molto simile: se le informazioni apparse sul sito web erano veritiere e fondate al momento della loro pubblicazione, avvenuta per finalità giornalistiche e “nel rispetto del principio dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico“, gli stessi articoli possono restare online all’interno dell’archivio storico del giornale. L’editore, però, dovrà accogliere le richieste di aggiornamento dei vecchi articoli allestendo “un idoneo sistema nell’ambito del citato archivio storico, idoneo a segnalare (ad esempio, a margine dei singoli articoli o in nota agli stessi) l’esistenza del seguito o dello sviluppo della notizia in modo da assicurare all’interessato il rispetto della propria (attuale) identità personale, quale risultato della completa visione di una serie di fatti che lo hanno visto protagonista e ad ogni lettore di ottenere un’informazione attendibile e completa“.
Il Presidente dell’autorità, Antonello Soro, presentando alle Camere una relazione sull’ultimo anno di attività ha osservato: “il Garante da tempo richiede agli archivi telematici dei quotidiani di sottrarre notizie non più attuali, e ritenute dall’interessato pregiudizievoli, dall’indicizzazione dei motori di ricerca generalisti ovvero di adottare accorgimenti per segnalarne eventuali aggiornamenti“.

È importante, però, che gli articoli non siano eliminati: il gestore di un sito od un blogger potrebbe ritenere più semplice cancellare un articolo in seguito ad una contestazione piuttosto che aggiornarlo. Si tratterebbe di un comportamento che danneggerebbe tutti.
Se consentiamo a chiunque di pretendere la rimozione di un contenuto sgradito che lo riguarda, tra cento anni quando guarderanno a questa epoca attraverso Internet sembreremo tutti bravi e buoni. Le storie di corrotti e delinquenti saranno sparite“, osserva Guido Scorza, uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione.

L’ultima novità è che il motore di ricerca non deve cancellare i dati personali dai suoi indici. O almeno questo è l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, attraverso il suo Avvocato generale, ha fatto sapere di essere in procinto di esprimere un parere favorevole a Google.
Il motore di ricerca “non va considerato come responsabile del trattamento dei dati personali che compaiono nelle pagine web che tratta“: Google indicizza il contenuto delle pagine Internet ma non ha alcun controllo su di esse.
A riportare la notizia è stato l’avvocato Fulvio Sarzana – uno dei massimi esperti italiani di tematiche legate ai diritti fondamentali e rete Internet -.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha preso posizione sul caso di un privato che aveva richiesto al Garante della privacy spagnolo di ordinare la cancellazione delle informazioni pubblicate su di un giornale online. La Corte, attraverso l’opinione preliminare dell’Avvocato generale, ritiene che l’ordine di cancellazione adottato da una Autorità (nella fattispecie il Garante della privacy spagnolo) per proteggere la privacy di un privato, non sia conforme al diritto dell’Unione, dando così ragione ragione all’articolazione regionale di Google, che aveva presentato un ricorso contro l’Agenzia spagnola di protezione dati“, ha osservato Sarzana sul suo blog.

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