Il passaggio da Windows 10 a Linux, tra verità e falsi miti

Il 2025 potrebbe segnare una crescita significativa di Linux desktop, stimolata dalla fine del supporto di Windows 10. La chiave, però, è la consapevolezza: conoscere vantaggi, limiti e compatibilità permette di prendere decisioni ponderate.

Diversi report e analisi susseguitisi negli ultimi mesi suggeriscono che il 2025 possa essere considerato come l’anno del passaggio a Linux desktop. Anche in Europa, Linux registra una crescita senza precedenti posizionandosi al 6% delle quote di mercato. Un dato che comincia a essere rilevante e che non è molto distante dal market share appannaggio di macOS. Campagne come EndOf10 ed End of Windows 10 toolkit, quest’ultima promossa da The Restart Project, colgono al balzo la fine del supporto di Windows 10 per spronare gli utenti a valutare (anche) il passaggio a Linux.

LibreOffice parla dei costi nascosti di Windows

Già a giugno 2025, The Document Foundation – realtà che si occupa dello sviluppo, dell’aggiornamento, della manutenzione e della promozione della suite libera LibreOfficeaveva usato parole forti:

Il passaggio a Windows 11 non riguarda solo gli aggiornamenti di sicurezza. Aumenta la dipendenza da Microsoft attraverso un’aggressiva integrazione con il cloud, costringendo gli utenti ad adottare account e servizi Microsoft. Ciò comporta anche costi più elevati dovuti ai modelli di abbonamento e licenza, e riduce il controllo sul funzionamento del computer e sulla gestione dei dati. Inoltre, i nuovi requisiti hardware renderanno obsoleti milioni di PC perfettamente funzionanti.

The Document Foundation sostiene che l’abbandono del supporto per Windows 10 da parte di Microsoft rappresenta un punto di svolta. Perché induce gli utenti ad aggiornare a Windows 11 oppure ad acquistare un nuovo PC quando quello vecchio ancora funziona.

Secondo The Document Foundation, Windows 11 richiede l’uso di account Microsoft e integra profondamente i servizi online, riducendo autonomia e controllo. I nuovi modelli di licenza e abbonamento imporrebbero spese ricorrenti, spesso non giustificate per le funzionalità offerte. E ricorda che esiste un’opzione migliore capace di rimettere il controllo nelle mani di utenti, istituzioni ed enti pubblici: l’accoppiata Linux più LibreOffice.

Secondo JPR gli utenti di Windows 10 NON stanno passando a Linux

Nonostante l’approssimarsi della data del ritiro ufficiale di Windows 10 (con un grosso asterisco del quale parliamo più avanti), fissata per il 14 ottobre 2025, secondo JPR (Jon Peddie Research) gli utenti non starebbero davvero migrando in massa su Linux.

Va detto che JPR ha analizzato il mercato globale dell’hardware per PC gaming, comprendente desktop, notebook, soluzioni fai-da-te (DIY) e accessori/periferiche, destinato a registrare una crescita significativa del 35% nel 2025, raggiungendo un valore complessivo di 44,5 miliardi di dollari.

Con l’abbandono del supporto per Windows 10, ci troviamo – secondo JPR – dinanzi a un punto di svolta senza precedenti: vi è la necessità di una migrazione forzata per oltre 100 milioni di giocatori. Come sottolinea Ted Pollak, senior analyst di JPR, non si tratta di un semplice aggiornamento della scheda grafica: è necessario un upgrade della CPU, che implica a sua volta la sostituzione della scheda madre e, in molti casi, della RAM.

Questa transizione sta portando molti gamer a optare per nuovi sistemi preassemblati. I giocatori fai-da-te, invece, stanno progressivamente costruendo nuovi PC accanto ai loro sistemi esistenti, evitando così di compromettere l’uso dei loro PC attuali fino al completamento delle soluzioni basate su Windows 11.

Nonostante JPR fornisca una panoramica su una parte del mercato, è interessante registrare come in questo specifico segmenti gli utenti preferiscano restare ancora con Windows. E ciò a dispetto del fatto che Linux in campo gaming non è mai stato così efficace come nel 2025, superando in alcuni casi anche le prestazioni di Windows.

Windows 10 non muore il 14 ottobre 2025: ampia libertà di scelta

È innegabile: con Windows 11, Microsoft si è spinta un po’ troppo oltre, forzando la mano agli utenti. Usare obbligatoriamente un account Microsoft o servirsi di un PC che soddisfi requisiti hardware molto più stringenti rispetto a quelli fino a oggi più che sufficienti per usare senza problemi Windows 10, è indubbiamente una forzatura. Così come è una restrizione inaccettabile quella di dover disporre di una connessione Internet attiva e funzionante durante l’installazione di Windows 11 (altrimenti, come si farebbe a configurare un account Microsoft?…).

Bisogna però anche dire e scrivere le cose come stanno: tutti questi requisiti sono facilmente superabili. E non usando procedure illecite in violazione dei termini di licenza, bensì avvalendosi di strumenti integrati nel codice di Windows 10 e di Windows 11.

Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di semplici chiavi del registro di sistema da modificare per abilitare l’aggiornamento a Windows 11 sui sistemi che non soddisfano i requisiti o continuare a usare il classico account locale al posto di un account Microsoft.

Gli amministratori IT con un minimo di esperienza già utilizzano queste chiavi all’interno di file autounattend.xml per l’installazione non presidiata di Windows 11.

Il fatto che Windows 11 non si possa utilizzare con account locali (sempre pienamente supportati) o si leghi a doppio filo con il cloud Microsoft è quindi un falso mito. Non è escluso che qualcosa in futuro possa cambiare (lo abbiamo già ipotizzato noi stessi nel caso di Windows 12) ma Windows 11 non è assolutamente un software in abbonamento.

Per installare da zero Windows 11 o aggiornare qualunque macchina, anche quelle che non soddisfano i requisiti minimi, si può creare una chiavetta avviabile con Rufus. L’applicazione permette anche di effettuare un aggiornamento in-place a Windows 11 senza perdere dati, configurazioni e applicazioni installate.

Windows 11 non obbliga a utilizzare Microsoft 365 (e ci mancherebbe!) tanto che gli utenti, parlando di suite Office e soluzioni per la produttività, sono liberi di scegliere LibreOffice, ONLYOFFICE, configurare un’istanza Nextcloud e così via.

Aggiornamenti estesi Windows 10 per tutti, almeno fino al 13 ottobre 2026

Con un “colpo di coda”, Microsoft ha concesso l’iscrizione gratuita al programma ESU (Extended Security Updates) di Windows 10 – a pagamento per le imprese di grandi dimensioni – a tutti gli utenti che non sono titolari di contratti specifici.

Ancora se ne sente parlare poco, ma Windows 10 non muore affatto il 14 ottobre 2025: utenti privati, professionisti e imprese possono ricevere gli aggiornamenti di sicurezza per Windows 10 fino al 13 ottobre 2026, quindi ancora per un anno.

In realtà, anche qui non serve neppure un account Microsoft per aderire gratuitamente all’offerta: basta applicare una semplice modifica sul registro di sistema e richiedere l’erogazione della licenza estesa per la ricezione degli aggiornamenti al nuovo componente ClipESUConsumer.exe, aggiunto di recente da Microsoft nella cartella di sistema %windir%.

Questo anno “di grazia” aggiuntivo può essere sfruttato per valutare il da farsi: migrare a Windows 11, rinnovando eventualmente il proprio parco macchine; passare a Linux o testare configurazioni ibride, sia a livello di infrastruttura che di singola workstation.

Quanto è complicato passare a Linux?

Utilizziamo Linux fin dagli albori. Siamo cresciuti a pane, server e Linux, sbattendo il naso sul terminale e su configurazioni che, a volte, non ne volevano sapere di funzionare (per nostro errore, ovviamente…).

Negli anni ’90 abbiamo utilizzato Linux anche per la gestione dei dispositivi di rete, ci siamo confrontati con IP Masquerade, precursore di iptables, e abbiamo sviluppato meccanismi di scripting per un ampio ventaglio di campi applicativi.

Oggi si sostiene che la migrazione da Windows a Linux non sia né complicata né radicale. Beh, dipende dalla tipologia di utenza.

Se si parla di Linux desktop e se ci si limita a navigare sul Web, a gestire la posta elettronica a usare una suite per l’ufficio, il passaggio da Windows a Linux può filare liscio come l’olio. In un altro nostro articolo abbiamo visto cosa cambia da Windows a Linux.

Migrazione in ambito professionale: workstation, server e infrastrutture critiche

Molte aziende, tuttavia, utilizzano software sviluppato esclusivamente per Windows (ERP, CRM, CAD, gestionali contabili, software industriali o medici): sono applicazioni che potrebbero non avere equivalenti Linux diretti o compatibili.

Le soluzioni possibili sono, in questo caso, l’uso della virtualizzazione; l’adozione di Wine, Proton o WinApps; la sostituzione con software open source che può richiedere una reingegnerizzazione dei processi aziendali.

In ambienti Windows, Active Directory gestisce autenticazione, policy e permessi. Linux può integrarsi, ma serve una configurazione accurata (es. Samba, LDAP, Kerberos). Servizi condivisi, stampanti di rete, VPN e altri strumenti potrebbero a loro volta richiedere adattamenti.

Gli utenti abituati a Windows devono imparare un nuovo modo di lavorare: gestione dei pacchetti, permessi, personalizzazione desktop. Anche se molte distribuzioni Linux sono sempre più user-friendly, senza formazione interna possono emergere resistenze o inefficienze.

Tuttavia, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: la complessità della migrazione dipende strettamente dal contesto, dai software utilizzati e dal livello di preparazione degli utenti. Negli ambienti professionali, non si parla solo di workstation, relativamente più facili da migrare, ma anche di server, infrastrutture di rete, servizi condivisi e applicazioni critiche che richiedono pianificazione, test approfonditi e valutazioni precise.

Con un’analisi attenta, una fase di test e la giusta formazione, anche ambienti professionali complessi possono passare a Linux senza traumi, sfruttando i vantaggi di un sistema stabile, sicuro e controllabile. Ma da qui a dire che è tutto semplice e immediato ce ne passa.

Libertà e consapevolezza: la chiave per decidere

Linux è alla base del 70-80% dei dispositivi embedded e IoT disponibili sul mercato, grazie al suo kernel modulare e adattabile a dispositivi a risorse limitate; domina inoltre lato servercloud: quasi l’80% dei server Web visibili su Internet è alimentato dal pinguino; nel cloud computing realtà come AWS ospitano l’83,5% delle istanze EC2 su Linux; Microsoft Azure conta il 62% di macchine virtuali basate su Linux; su Google Cloud il dato sale al 92% circa per le VM costruite su Linux (dati Statista).

Il successo del pinguino è figlio di un’intuizione brillante di Linus Torvalds nata nell’estate 1991. Tuttavia, per vari motivi, Linux desktop non è mai decollato. E ciò nonostante l’offerta estremamente ampia in termini di distribuzioni e possibilità di personalizzazione.

La scelta di migrare da Windows a Linux non deve essere presa alla leggera né dettata dall’urgenza del cambiamento. Ogni utente, così come ogni organizzazione, deve avere la libertà di valutare con attenzione le proprie esigenze, comprendere le compatibilità software, le infrastrutture coinvolte e il livello di formazione necessario.

La consapevolezza è la chiave di volta: solo comprendendo appieno vantaggi, limiti e impatti della migrazione è possibile prendere decisioni ponderate, ridurre rischi e garantire una transizione efficace e senza sorprese. Tutto questo lontano dalle “urla da stadio” di chi è da sempre abituato a pensare e lavorare per “compartimenti stagni”.

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