Il supercomputer IBM Summit schierato contro il Coronavirus

Grazie a IBM Summit i ricercatori sono già riusciti a individuare 77 composti che possono potenzialmente interferire con le capacità di COVID-19 di attaccare e infettare le cellule.

Si chiama Summit il supercomputer più potente al mondo. Realizzato da IBM è al momento in cima alla classifica TOP500 ed è in forza presso l’Oak Ridge National Lab del Tennessee (USA).

I responsabili del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti hanno appena annunciato che nel giro di pochi giorni i ricercatori sono già stati in grado di simulare circa 8.000 composti al fine di modellare ciò che potrebbe influire sul processo di infezione del Coronavirus COVID-19. Utilizzando la potenza di calcolo offerta da Summit (il supercomputer di IBM permette di raggiungere qualcosa come 200.000 TeraFLOPS di potenza massima ed è formato da quasi 2,5 milioni di core), gli studiosi sono riusciti a identificare 77 composti che possono potenzialmente interferire con le capacità del virus di attaccare e infettare le cellule.

La selezione dei composti che, in laboratorio, vengono messi a contatto con il virus per capirne la reazione resta un processo lento senza l’ausilio di configurazioni avanzate, come quella che caratterizza Summit, al fine di ridurre il numero delle variabili.
IBM spiega che anche servendosi di supercomputer il traguardo non è comunque facilmente raggiungibile perché ogni variabile può essere composta da milioni, se non miliardi, di dati unici e il quadro è complicato dalla necessità di condurre simulazioni multiple.

Summit è dal 2018 il “primo della classe” tra i supercomputer, ponendosi davanti al gemello Sierra. La capacità di elaborazione dati di Summit poggia su 4608 nodi server IBM Power Systems AC922, ciascuno dotato di due CPU IBM Power9 e sei GPU NVIDIA Tensorcore V100, pari alla potenza di un milione di notebook di fascia alta.

In due anni Summit ha guidato ricerche pionieristiche in ambiti differenti: per la comprensione delle origini dell’universo e le missioni spaziali. Se per curare il virus nato a Wuhan ci vorrà ancora del tempo, si spiega da Big Blue, adesso la disponibilità di macchine di questo tipo dà alla comunità scientifica ulteriori speranze di successo per la cura dell’attuale Coronavirus, ulteriore testimonianza del ruolo insostituibile che la tecnologia assume nelle grandi sfide dell’umanità.

Solamente 16 anni fa il supercomputer IBM Blue Gene inaugurò “l’era del petascale” assumendo un ruolo critico nel sequenziamento del genoma umano da cui sono nati nuovi farmaci. Con Blue Gene è stato possibile simulare circa l’1% della nostra corteccia cerebrale la quale contiene 1,6 miliardi di neuroni.

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