Il dibattito sulla legalità delle licenze software di seconda mano è tornato a infiammare il settore IT europeo. Al centro della controversia vi è Microsoft, che sta affrontando dinanzi al Competition Appeal Tribunal (CAT) del Regno Unito una questione che potrebbe ridefinire le regole del mercato delle licenze di Windows e Office.
La questione non è marginale: una decisione favorevole a Microsoft rischierebbe di minare le fondamenta stesse del mercato parallelo delle licenze a basso costo, largamente utilizzato da system builder, rivenditori indipendenti e consumatori finali per abbattere i costi di installazione di sistemi operativi e suite di produttività.
A metà novembre 2025, ed è questa la principale novità, lo UK Competition Appeal Tribunal ha stabilito che le licenze perpetue di prodotti Microsoft, come Windows e Office, possono essere legalmente rivendute, respingendo le argomentazioni della multinazionale secondo cui la rivendita violerebbe il diritto d’autore. Microsoft ha annunciato l’intenzione di presentare appello.
ValueLicensing contro Microsoft: un danno da 270 milioni di sterline
Sul fronte opposto troviamo ValueLicensing, storico rivenditore britannico di licenze software, che accusa Microsoft di aver soffocato il mercato dell’usato tramite politiche commerciali restrittive e pratiche anticoncorrenziali.
La società ha avviato nel 2021 una causa da 270 milioni di sterline, sostenendo che le condizioni imposte da Microsoft nei contratti di volume licensing abbiano di fatto impedito la libera circolazione delle licenze, causando ingenti perdite di fatturato.
Secondo il CEO di ValueLicensing, l’interpretazione avanzata da Microsoft equivarrebbe a una negazione totale del principio stesso di rivendita: “se questa teoria fosse accolta in giudizio, il mercato delle licenze di seconda mano in Europa non potrebbe nemmeno esistere”.
Esaurimento del diritto d’autore e la strategia di Microsoft
Ma qual è la “chiave di lettura” dei legali Microsoft che ValueLicensing contesta fermamente?
In linea generale, l’Unione Europea consente la rivendita di licenze perpetue dei software: una volta venduta, la licenza non può essere limitata dal produttore, aprendo così alla possibilità di un mercato secondario.
Microsoft, però, fa riferimento a una distinzione cruciale: secondo l’azienda di Redmond, il principio dell’esaurimento dei diritti del venditore originale si applicherebbe solo al codice eseguibile in senso stretto, non ad elementi come l’interfaccia grafica (GUI) e altri componenti accessori. Questi, sostiene Microsoft, rimarrebbero tutelati dalla normativa sul copyright e non potrebbero essere liberamente trasferiti.
Il principio che regola la rivendita delle licenze software
In generale, il diritto d’autore dà al titolare (Microsoft, in questo caso) il potere esclusivo di riprodurre, distribuire e autorizzare l’uso dell’opera. Tuttavia, quando il titolare vende una copia di quell’opera in modo legittimo, il suo diritto di controllo su quella copia si esaurisce: non può più impedire al compratore di rivenderla.
Questo principio è stato sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (caso UsedSoft vs Oracle, 2012, C-128/11), che ha stabilito che vale per le licenze perpetue di software, anche se distribuite digitalmente.
Se la licenza software è perpetua (senza scadenza), è equiparata a una vera e propria “copia” venduta. Una volta che Microsoft (o qualunque altro sviluppatore) ha venduto quella licenza, non può impedirne la successiva rivendita: il diritto d’autore si considera “esaurito” su quella copia.
Ovviamente, il rivenditore non può continuare a utilizzare il programma dopo aver ceduto la licenza: deve rendere inutilizzabile la propria copia (ad esempio disinstallandola). La rivendita non è lecita se la licenza continua ad essere utilizzata dal cedente.
La Corte suprema federale tedesca (BGH, 11/12/2014, I ZR 8/13) ha inoltre concluso che la sentenza della Corte di giustizia è rilevante anche per i contratti di licenza a volume e la loro suddivisione, “spacchettamento” o frazionamento. A patto che si rispettino le condizioni fissate dalla Corte stessa.
Nuove accuse: cartelli contrattuali e rinuncia alle licenze perpetue in cambio di sconti
Stando al contenuto dei documenti presentati da ValueLicensing, Microsoft avrebbe incluso clausole restrittive nei contratti di licenza presentati a organizzazioni pubbliche e private: queste clausole limitavano la possibilità di rivendere licenze perpetue, a fronte della concessione di sconti sui contratti in abbonamento.
Secondo l’analisi di ValueLicensing, si tratterebbe di una pratica a sua volta parte di una strategia sistematica per orientare i clienti verso modelli cloud e abbonamento, riducendo la disponibilità di licenze pre-owned sul mercato secondario.
La decisione del tribunale del 12 novembre 2025
A novembre 2025, come accennato nell’introduzione, lo UK Competition Appeal Tribunal (CAT) ha rigettato le tesi di Microsoft. Secondo la sentenza:
- Non esistono restrizioni legali alla suddivisione e rivendita delle licenze Windows e Office ottenute tramite gli Enterprise Agreements.
- La rivendita di licenze software non infrange il copyright, nemmeno quando il software contiene risorse grafiche o altri contenuti creativi.
- La pratica di vendere solo una parte delle licenze acquistate non è vietata.
La sentenza conferma che i clienti Microsoft titolari di licenze perpetue possono disporne liberamente, inclusa la rivendita.
Jonathan James Horley, amministratore delegato di ValueLicensing, ha dichiarato: “questa sentenza conferma i principi europei su cui si basa la nostra attività, permettendoci di continuare a offrire software Microsoft usato a prezzi vantaggiosi per i clienti“.
Una sentenza nel Regno Unito può costituire un precedente in Europa?
La decisione assunta nel Regno Unito non ha alcun valore vincolante nell’Unione Europea, perché dopo la Brexit il Paese d’Oltremanica non fa più parte né del sistema giuridico comunitario né fa perno sulla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Prima della Brexit le decisioni della Corte di Giustizia erano vincolanti anche per i tribunali britannici e vi era un quadro normativo unico sul diritto d’autore e sul principio di esaurimento delle licenze software. Dopo la Brexit, il Regno Unito ha mantenuto molte normative europee nel proprio ordinamento, ma ora può discostarsene e interpretarle in modo autonomo. Certo è che le decisioni dei tribunali britannici non hanno effetto legale diretto nei Paesi UE.
Tuttavia, le argomentazioni giuridiche di un tribunale britannico possono essere prese come precedente persuasivo da corti e legislatori europei.
Le multinazionali, come Microsoft, tendono a uniformare le loro strategie commerciali a livello regionale: se vincono a Londra, potrebbero usare lo stesso schema come leva in cause simili sul territorio europeo.
Microsoft ha già annunciato la volontà di fare appello contro la decisione dello UK Competition Appeal Tribunal. L’azienda può presentare ricorso presso lo stesso tribunale o, se necessario, portare la questione a un livello superiore della giustizia britannica.