Meta si prepara ad affrontare un nuovo contenzioso legale sul territorio dell’Unione Europea. Al centro della disputa la decisione dell’azienda di Mark Zuckerberg di utilizzare i dati degli utenti come post, commenti e altre interazioni social per addestrare i propri modelli di intelligenza artificiale, senza un consenso esplicito. A ostacolare i piani del colosso statunitense c’è ancora una volta Max Schrems, avvocato austriaco e fondatore dell’organizzazione per la difesa della privacy noyb (None Of Your Business), che ha già inviato una diffida formale a Meta e minaccia una causa collettiva da miliardi di euro.
Noyb: nessun legittimo interesse può giustificare la raccolta dei dati da parte di Meta
Secondo il team legale di noyb, la posizione di Meta sarebbe giuridicamente infondata. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha già sancito, in contenziosi precedenti, che l’uso dei dati personali per la pubblicità mirata non può avvalersi del legittimo interesse come base legale. Perché, allora, si chiede Schrems, dovrebbe essere considerato valido per un’attività come l’addestramento dei modelli AI?
noyb sottolinea che molti altri sviluppatori di modelli generativi, come OpenAI o l’europea Mistral, riescono a ottenere ottimi risultati senza accedere ai dati dei social network, dimostrando che il successo nel campo dell’AI non dipende necessariamente da una raccolta massiva e retroattiva di dati personali.
Il nodo del consenso: opt-in vs opt-out
Il punto centrale del conflitto è la modalità con cui Meta intende raccogliere il consenso degli utenti. L’azienda ha scelto un approccio “opt-out”, che prevede l’inclusione automatica degli utenti nel programma di raccolta dati, salvo loro esplicita opposizione. noyb, invece, insiste per un approccio “opt-in”, in linea con i principi sanciti in Europa dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).
“Nessun altro grande provider AI ha bisogno dell’accesso ai post pubblici di milioni di persone. Perché dovrebbe servire proprio a Meta?”, si chiede l’organizzazione. Secondo noyb, anche un consenso esplicito da parte del solo 10% degli utenti europei (circa 40 milioni di persone) sarebbe più che sufficiente per addestrare modelli linguistici capaci di comprendere le lingue e le specificità culturali dell’UE.
Ed è questo un altro punto del contendere: Meta sostiene che la raccolta delle informazioni sia fondamentale per garantire che i suoi modelli linguistici comprendano le sfumature culturali, linguistiche e comportamentali dei cittadini europei.
Diametralmente opposta la valutazione di noyb che definisce “assurda” la posizione di Meta e non conforme con le disposizioni contenute nel GDPR.
Conseguenze legali: una potenziale class action da 200 miliardi
Se Meta non dovesse cambiare strategia, noyb è pronta a passare all’azione. L’associazione sta valutando la possibilità di presentare un’ingiunzione nei tribunali europei per bloccare il trattamento dei dati e considera anche una class action. Secondo una stima di noyb, ogni utente potrebbe rivendicare circa 500 euro a titolo di danno morale.
Applicando tale cifra agli oltre 400 milioni di utenti attivi mensili nel Vecchio Continente, Meta potrebbe potenzialmente affrontare una richiesta risarcitoria superiore ai 200 miliardi di euro.
La replica di Meta: “Una minoranza vuole rallentare l’innovazione”
Dal canto suo, Meta respinge le accuse e accusa noyb di rappresentare una minoranza attivista intenzionata a ostacolare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Europa. “Queste iniziative ritardano l’innovazione e danneggiano i consumatori e le imprese europee“, ha dichiarato un portavoce della società di Zuckerberg.
Meta sostiene inoltre che la propria condotta sia più trasparente rispetto a quella di molti competitor e che l’uso del legittimo interesse sia pratica comune anche tra altre aziende del settore.
Per le Autorità garanti e per noyb, ciò che conta è la conformità formale e sostanziale al GDPR, non le abitudini e le “consuetudini” di mercato.
Al di là della singola questione legale, il cuore del dibattito riguarda la sovranità digitale, il diritto al controllo sui propri dati e la necessità di bilanciare innovazione e tutela dei diritti fondamentali. “Siamo molto sorpresi che Meta corra questo rischio solo per evitare di chiedere il consenso agli utenti“, ha concluso Schrems.