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Un nuovo capitolo nella storia della medicina si apre per chi ha perso la vista a causa della degenerazione maculare secca. “Oggi ho ricominciato a leggere i libri e fare i cruciverba che amavo tanto. È come essere tornata in un mondo che pensavo perduto per sempre.”
Con queste parole, Sheila Irvine, una settantenne britannica, racconta il cambiamento radicale nella sua vita dopo aver ricevuto un impianto retinico innovativo che le ha restituito la capacità di leggere e distinguere forme, perduta a causa di una delle patologie oculari più diffuse e invalidanti tra gli anziani.
La rivoluzione arriva dal Moorfields Eye Hospital di Londra, dove un recente studio clinico ha dimostrato risultati sorprendenti nel trattamento della cecità centrale. Il cuore di questa innovazione è un microchip chiamato PRIMA, un dispositivo minuscolo – appena 2×2 millimetri – impiantato chirurgicamente sotto la retina. Il microchip si integra con una tecnologia di supporto: il paziente indossa visori per la realtà aumentata dotati di videocamera, che catturano in tempo reale le immagini dell’ambiente circostante.
Una tecnologia promettente, ma con ancora tanta strada da fare
Il funzionamento del sistema è ingegnoso e rappresenta una sinergia tra hardware e software avanzati. Le immagini raccolte dagli occhiali vengono elaborate da un computer portatile e inviate tramite raggi infrarossi direttamente al microchip impiantato. Qui, i segnali visivi vengono trasformati in impulsi elettrici che stimolano le cellule retiniche residue e il nervo ottico, consentendo un parziale recupero della visione centrale. Il risultato è una nuova possibilità di percepire forme, lettere e dettagli che prima erano preclusi a causa della malattia.
I dati dello studio parlano chiaro: l’84% dei 38 partecipanti ha riacquistato la capacità di leggere, passando da una condizione di cecità quasi totale alla lettura di una media di cinque linee sulla tabella optometrica. Un aspetto particolarmente rilevante è che l’intervento non compromette la visione periferica residua, fondamentale per l’orientamento e la sicurezza nei movimenti quotidiani. Il professor Mahi Muqit dell’UCL Institute of Ophthalmology, tra i principali responsabili dello studio, ha sottolineato come questi risultati segnino “l’inizio di una nuova era nella storia della visione artificiale”, evidenziando che è la prima volta che pazienti con cecità centrale recuperano in modo significativo la capacità di vedere dettagli.
Dal punto di vista pratico, l’intervento che prevede l’inserimento dell’impianto retinico richiede meno di due ore in sala operatoria e utilizza componenti facilmente producibili su larga scala. Questo lo rende potenzialmente più accessibile rispetto ad altre soluzioni terapeutiche, come le terapie geniche o i trattamenti con cellule staminali, che risultano generalmente più complessi e costosi. La relativa semplicità della procedura apre quindi nuove prospettive per un’ampia diffusione, anche in contesti dove le risorse sanitarie sono limitate.
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo suscitato dai risultati preliminari, la comunità scientifica mantiene un approccio prudente. Il dispositivo PRIMA deve ancora completare l’iter di approvazione regolamentare prima di poter essere introdotto su larga scala nei sistemi sanitari pubblici. Rimangono da valutare la durabilità dell’impianto nel lungo periodo, l’adattabilità a una popolazione più vasta e i costi effettivi per i pazienti e le strutture sanitarie. La degenerazione maculare secca colpisce infatti oltre 5 milioni di persone nel mondo, manifestandosi con caratteristiche cliniche variabili. Sarà quindi necessario verificare l’efficacia del microchip in differenti condizioni e la sua possibile integrazione con altre terapie emergenti.